Preghiera. Altro che “spreco”, è l’arma più potente
Il senso della preghiera delle claustrali, sinodale e segno della carità.
di Suor Maria Ruth osb
Suor Maria Ruth
Carissimi tutti, con gioia rispondo ancora una volta alla vostra richiesta di farmi presente con qualche semplice parola, come figlia della Chiesa di Carpi, nella Giornata pro orantibus, che quest’anno cade in concomitanza della solennità di Cristo Re dell’Universo. Una coincidenza liturgica che, forse, nelle circostanze storiche ed ecclesiali che stiamo vivendo non capita a caso: un anno liturgico si chiude, con le fatiche – e forse anche le grazie – che ha portato con sé; se ne apre uno nuovo, e ci auguriamo che sia per tutti nel segno della rinascita e della speranza.
Come non volgere lo sguardo allora, come non innalzare la nostra preghiera, in questa fine e in questo inizio, a Colui che tiene nelle sue mani le sorti della storia, ogni nostra fine e ogni nostro inizio, personale, civile ed ecclesiale?
Forse non tutti sanno che il vero motto dei monaci e delle monache benedettini, prima ancora del celebre Ora et labora, è Nulla anteporre all’amore di Cristo. Dalla tradizione, esso è sempre stato interpretato come il primato assoluto dato dal nostro Ordine alla preghiera liturgica, la voce della Chiesa, Sposa di Cristo. Dante stesso nella terza Cantica della sua Divina Commedia attesta che i figli di Benedetto, Padre dei monaci d’Occidente sono coloro deputati, da parte della Sposa, a mattinar lo Sposo perché l’ami (Paradiso, canto X)… Esiste una vocazione più bella di questa, essere nella Chiesa la voce della Sposa che ricorda allo Sposo la fedeltà del suo amore?
Certo, si tratta di una voce e di un canto non sempre “ad ampia diffusione”: soprattutto in questo tempo di confinamenti, l’ospitalità dei nostri monasteri ha dovuto purtroppo essere fortemente ridotta, e capita che in alcuni casi le nostre liturgie siano poco o per nulla frequentate. Qualcuno, dopo aver partecipato come spettatore solitario ad un Vespro solenne, ci ha chiesto: “Per chi cantate e celebrate così, che non c’è nessuno ad ascoltare? È energia e bellezza sprecata…”. Ma questo “spreco” non è, al contrario, la testimonianza eloquente che tutto questo non ha altro fine se non Dio solo e la sua gloria?
La preghiera liturgica, celebrata tutti i giorni con sobria e nobile solennità nel segreto dei nostri chiostri, oggi quanto mai “in clausura”, è un segno inequivocabile, il segno inequivocabile dell’onore che spetta al Re dell’Universo. Essa è anche l’arma più potente della Sposa stessa contro il divisore, perché è la preghiera sinodale: le voci fuse in un’unica armonia su testi che la Chiesa canta al suo Dio da secoli e secoli sono segno della carità, che unisce i cuori in un solo volere, in un solo sentire. E la carità, alla fine, sarà la sola cosa che rimarrà.
Allora mi permetto di fare a tutti un augurio “benedettino”, in questo giorno così speciale: l’augurio di nulla anteporre all’amore di Cristo nella vostra vita, e che questo amore si concretizzi anzitutto in una intensa vita di preghiera liturgica. Con tutte le mie sorelle e la mia Madre Abbadessa vi abbraccio forte, in profonda comunione.