«Può forse un cieco guidare un altro cieco?»
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 27 febbraio 2022
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? (…) Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‘Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio’, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.
Commento
Dopo aver mostrato Gesù che annuncia le beatitudini e insegna l’amore per il nemico, ora l’evangelista Luca raccoglie dei frammenti dell’insegnamento del Maestro per rendere forse più semplice e “spezzettato” l’insegnamento che prima ha enunciato puntando decisamente in alto. Gesù qui parla in parabole, così vengono chiamate anche se in realtà molte sono più catalogabili come proverbi. Il genere del brano di oggi è di tipo morale e sapienziale.
Allora cerchiamo di capire quali sono le indicazioni che Luca dà per avvicinarsi alla meta alta che ha indicato nel discorso della pianura. Prima di tutto non può un cieco guidare un altro cieco. Dunque, gli uomini hanno bisogno di una guida che ci veda. Possiamo qui comprendere il valore simbolico di tanti miracoli in cui dei ciechi recuperano la vista. La guida, colui che davvero ha gli occhi aperti, non può che essere Gesù. Ma forse anche nella comunità cristiana ci sono persone che possono guidare, non per le loro capacità, ma perché guidati a loro volta dallo spirito del Maestro.
Poi segue il detto sulla pagliuzza e la trave. Il Maestro può aiutarti a togliere la trave dai tuoi occhi, che è l’inizio di ogni percorso di crescita. Tutti i grandi maestri di spirito hanno sempre riconosciuto che la conoscenza di sé è fondamentale per la vita cristiana e da lì tutto parte, è sempre una crescita contemporaneamente umana e cristiana. E questa avviene non nel pensiero solitario ma nel rispecchiamento di un altro.
Santa Teresa d’Avila all’inizio della sua opera “Il Castello Interiore” scrive: “Non so se mi spiego bene. È tanto importante conoscerci, che in ciò non vorrei vi rilassaste, neppure se foste già arrivate ai più alti cieli, perché mentre siamo sulla terra, non c’è cosa più necessaria dell’umiltà. Torno dunque a ripetere che è assai utile, – anzi, utile in modo assoluto – che prima di volare alle altre mansioni, si entri in quelle del proprio conoscimento, che sono le vie per andare a quelle. Ora, se possiamo camminare sopra un terreno piano e sicuro, perché voler ali per volare? Facciamo piuttosto del nostro meglio per approfondirci in questa nostra conoscenza. Ma credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio”.
Continuando la lettura del vangelo incontriamo poi un criterio fondamentale per riconoscere il cammino di fede: il portare frutto. La nostra vita deve dare frutti buoni, deve concretizzarsi in azioni ma soprattutto potremmo dire deve essere feconda. Allora il cuore è la radice della fecondità e ancora siamo richiamati a lavorare sul cuore dell’uomo. Ma chi cambia il cuore è solo Gesù, perché il cuore è un abisso. I profeti lo avevano capito e annunciato, solo l’intervento di Dio farà del nostro cuore un cuore degno di un uomo (Ez 36, 26).
Proviamo a mettere insieme queste considerazioni su occhi e cuore: scopriremo che principio del bene è che il nostro “superorgano” occhio-cuore si accorga dei nostri limiti e si lasci intenerire dalla misericordia di Dio.
L’ultima parabola, che oggi non leggiamo, e che conclude il discorso della pianura, è quella della casa con salde fondamenta. Fonda la sua vita su qualcosa di solido chi ascolta le parole di Gesù e le mette in pratica. Questo ascolto fattivo è salvezza perché trasforma l’uomo e lo rende sempre più simile al Padre: siate misericordiosi come anche il Padre vostro è misericordioso. Questo stesso ascolto fattivo è la base per edificare la casa degli uomini che è la città, per renderla un luogo accogliente e capace di incontri.
Fare frutti buoni… in altre parole.
Dal libro del teologo Dominique Collin, “Il cristianesimo non esiste ancora”, Queriniana 2020. «Chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia del Vangelo la salverà». Che cosa significano queste parole difficili da ascoltare, se non che il Vangelo diventa una lieta novella solo per colui che osa staccarsi da sé stesso, colui che abbandona la sicurezza che gli offrono il verosimile e il possibile, che osa voltare le spalle all’io che è, per usare avventurarsi in direzione del sé che potrebbe divenire (non in potenza o potenziale ma come possibile). L’io: l’illusione che mi fa credere che sono qualcuno. Il sé: chi sono in verità e che per questa ragione non esiste ancora. Non è forse inverosimile pensare che il sé che io sono chiamato ad essere sia a venire, mentre sono sicuro dell’io che credo di essere? Divenire sé: questo compito non appare forse impossibile? Infatti, come essere sé stesso, se per divenirlo occorre uscire da sé?… Il cristianesimo è veridico solo quando dice che il sé passa attraverso il distacco da sé stesso. (p. 60)