L’insoddisfazione dell’uomo
Un mio vecchio professore di filosofia diceva che tutti noi istintivamente abbiamo una visione materialista del mondo. Di fatto, il primo approccio alla realtà a noi esterna ci è possibile solo attraverso i sensi, che hanno accesso appena a ciò che è materiale. Tuttavia, in noi c’è qualcosa di strano: nessuna di queste cose materiali è capace di soddisfare il nostro cuore. Ne è un segno il fatto che, appena raggiunto quello che immaginavamo potesse soddisfarci, andiamo alla ricerca di qualcosaltro. Davanti a noi l’orizzonte si apre e si allontana continuamente. Da dove nasce questa insoddisfazione continua? A questa domanda sembra dare una risposta implicita la poesia famosa del Leopardi, L’infinito.
Non ho la pretesa di commentare o interpretare il pensiero di questo grande poeta; voglio solo servirmi di una sua immagine per esprimere un’idea che mi sembra importante. Ed è questa: per poter cogliere, vivere e assaporare ciò che riempie veramente la vita dell’essere umano è necessario trovarsi davanti a qualcosa che impedisce all’orizzonte terreno di allargarsi sempre più, quasi all’infinito. Mi sembra sia questo il significato dei famosi versi: “sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. La siepe impedisce di vedere il vasto orizzonte che dal colle si estende, apparentemente, all’infinito. E, soprattutto, nasconde alla vista e ai sensi le tantissime cose che quell’orizzonte racchiude o permette intravedere.
In quella situazione, non solo il poeta ma ogni uomo entra in se stesso e in lui emergono altre realtà, che aveva già percepito, ma in modo confuso. E si accorge che sono proprio questi i veri valori, ciò che andava cercando: il bisogno di sentirsi riconosciuto per quello che è, come un soggetto che si distingue da tutte le cose che sono di fronte a lui; il bisogno di essere amato; il bisogno di conoscere e non essere ingannato; il bisogno di scoprire il senso del suo vivere; il bisogno di capire il mistero della morte, che per lui rimarrà tale finché non la sperimenterà di persona. E nella misura in cui tutto questo si apre alla sua comprensione, i suoi desideri diventano sempre più profondi: davanti a lui si apre un nuovo orizzonte, diverso da quello che la siepe gli preclude. E’ tutto un mondo che trascende il mondo materiale dei sensi! Un mondo diverso e più vero!
Questo mondo nuovo è percepito perché non è lontano dall’uomo, ma è dentro di lui. Emerge a partire da un’esperienza interiore che tutti facciamo e che osserviamo poco perché si identifica con noi stessi. Accompagna tutti i nostri atti: è la consapevolezza che tutte le volte che ci imbattiamo in qualcosa che è fuori di noi, sappiamo di vederla, sappiamo che siamo noi a vederla, sappiamo che noi ci distinguiamo da essa. E’ la coscienza. E’ quel tipo di conoscenza che non nasce dai sensi, ma che esprime un soggetto intelligente, di natura non materiale, irriducibile alla realtà del cosmo in cui siamo inseriti e di cui non facciamo parte. Ogni forma di riduzionismo, materialista o panteista, in cui cadono certi cultori della natura, è di fatto una negazione dell’uomo.
Se l’uomo non rientra in se stesso, corre il rischio di perdersi. Ce lo ricorda sant’Agostino in un famoso testo: «Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso»(La vera religione” 39,72). Questo rientrare in se stesso non distoglie lo sguardo dalla realtà, ma lo focalizza meglio. Senza la luce interiore, il nostro sguardo sarebbe incapace di cogliere la vera essenza delle cose. Esse non sono l’assoluto che noi cerchiamo, la realtà in cui, come dice ancora Agostino, il nostro cuore riposa. Esse sono un dono che ci è dato affinché noi stessi facciamo della nostra vita un dono ai nostri simili, fino a unirci a tutti in quella vera “comunione” in cui nessuno si perde, ma si realizza pienamente, nella vita eterna, quando Dio, il vero assoluto, sarà tutto in tutti.