Quando i bambini cadono giù
Da madre davanti alle tragedie della cronaca.
di Irene Ciambezi
Da mamma, non ci sono parole davanti a vicende terribili come quella che ha coinvolto a Modena la piccola Rejoice e a Soliera il piccolo Tommaso che ancora lotta e vive miracolosamente. Non ci sono parole perchè l’essere madre è qualcosa di viscerale, che tiene legata una madre al proprio piccolo fin dal concepimento. E anche quando il cordone ombelicale, quel funicolo che collega il feto alla madre attraverso la placenta e lo nutre nella vita intrauterina, non c’è più. Un legame che resta per sempre fisico e psichico. Un legame così intenso che ti lascia senza fiato quando si interrompe senza un motivo razionale. Senza fiato e senza parole.
Molte mamme come me avranno provato questa sensazione intima mista di angoscia e impotenza per le due creature innocenti cadute giù dal balcone e davanti a tutti i fatti di cronaca che vedono vittime inermi i bambini. E a molte sarà venuto in mente di certo la premura e la cura quotidiana di ogni madre, lo zelo continuo i figli, il cercare di far quadrare la vita familiare, in un caso di una mamma rimasta vedova e nell’altro di una mamma con papà entrambi impegnati a lavoro tutto il giorno, come tanti. Quante volte ci sembra che il tempo per abbracciare i nostri piccoli, per giocare con loro, per ascoltarli e accudirli non basti mai.
Lo scorso anno, approfondendo un Rapporto dell’OSCE sull’impatto sulla salute nei paesi europei, “La salute a colpo d’occhio – 2021” mi aveva impressionato il fatto che, durante la pandemia, le donne sono state in generale colpite più duramente degli uomini per la distribuzione diseguale delle responsabilità domestiche, per l’aumento di ansia e depressione. Il loro benessere è diminuito ancora da 51 a 44 unità tra il 2020 e il 2021 e sono state soprattutto le giovani donne di età compresa tra i 18 e i 44 anni le più colpite dall’impatto negativo del Covid-19. Allo stesso tempo, i fattori di protezione – coesione sociale, sostegno familiare, tempi di conciliazione vita e lavoro – sono improvvisamente diminuiti. Emergeva in quel rapporto che proprio le mamme sole e anche i neo-genitori impegnati nel lavoro avevano sofferto di più perché il distanziamento e la malattia hanno allontanato i nonni e i familiari, han tenuto chiusi gli asili e hanno costretto a trovare nuove soluzioni per non perdere di vista i propri piccoli. Eppure queste energie per la cura dei propri figli sembra non siano mai sufficienti. Basta un attimo…
Ma da mamma, sono pure rimasta felicemente senza parole davanti alla prossimità che si manifesta in modo quasi ribelle di fronte alla chiusura e all’indifferenza. La prossimità di quei vicini che sono corsi in soccorso e sono stati fondamentali in quelle angoscianti situazioni. La prossimità della comunità, della gente del quartiere, della parrocchia di san Faustino da una parte e quella di Soliera dall’altra. Centinaia di persone accanto a queste due famiglie squarciate dal dolore all’improvviso. Un abbraccio che occorre continui anche col passare dei giorni. E’ un’arma che nessuno potrà mai toglierci dalle mani, l’unica che può anche dare senso alla Vita: la preghiera. La preghiera che ancora accompagna Rejoice in cielo e con cui di giorno e di notte, da tante parti si sta chiedendo incessantemente la guarigione di Tommaso.
La preghiera che ci rafforza nella vicinanza e che confidiamo faccia sentire meno sole quelle mamme, quel papà e le loro famiglie, e che richiama ognuno di noi a vivere nei propri ambienti col cuore attento ad ogni vicino, ai piccoli, con lo sguardo, con un sorriso, con un gesto di aiuto. Senza dimenticare mai che, quando i bambini cadono giù, il primo a soffrirne è Gesù e Sua madre che lo strazio nel cuore l’ha già vissuto.