La dieta dell’orso
di Luca Baraldi
Dopo il lungo inverno artico, dalla fine del mese di maggio, qui nei Territori del Nordovest la natura ha cominciato a riprendere vita ed energia. Le giornate, mentre scrivo, sono illuminate dalla luce del sole per ventiquattro ore, ed i suoi raggi permettono alle piante di germogliare ed al alcune specie di fiori di campo di sbocciare.
Anche le persone, in questo tempo, sembrano essere più inclini alla giovialità, all’incontrarsi per giochi e feste che la tradizione Tlicho ha loro consegnato, ma pure per momenti di preghiera e celebrazioni di fede. Non si può negare che questo splendore della natura inviti ad uscire, a dedicarsi alle attività all’aria aperta, nonché a visitare le bellezze del creato che qui, ancora selvagge ed incontaminate, si incontrano nell’immensità degli spazi.
Per questo, proprio qualche giorno fa, trovandomi in una delle mie due missioni, Whati, ho deciso di visitare le cascate gemelle che si trovano a pochi chilometri da essa. Confrontandomi su questa mia decisione con alcune persone del villaggio, subito, sono stato messo in guardia del pericolo che avrei corso di incontrare qualche orso ormai, risvegliatisi anche loro dal letargo, approfittano della stagione per cacciare e fare scorta di energie per il prossimo inverno.
Facendomi coraggio per il fatto di avere con me una bomboletta di spray contro gli attacchi degli orsi, mi sono avventurato nel sentiero che, in cinque chilometri, conduce ad un vero e proprio paradiso terrestre: le Whati falls.
Mentre camminavo, circondato da una natura molto selvatica, osservando corvi, scoiattoli, e gipeti, pensavo con interesse alla dieta degli orsi: passano mesi e mesi senza mangiare nulla ed attendono il momento opportuno, quello offerto loro dalla natura e dai suoi ritmi, per rifocillarsi ed avere così le energie necessaria per vivere, riprodursi, prendersi cura della loro prole. Ascoltando i segnali che il loro metabolismo, il loro corpo, gli offre i plantigradi sanno affidare le loro esistenze alla quiete, al sonno, oppure lanciarsi in attività di raccolta e caccia senza sosta per giorni e giorni.
“E se anche noi, come Chiesa, imparassimo qualcosa dalla dieta dell’orso?”, mi sono detto ad un certo punto del mio cammino, quando lo scroscio delle cascate cominciava a farsi sentire distintamente. Imparare da questo mammifero ad ascoltare, anzitutto, il corpo ecclesiale in ognuna delle sue membra, trarne i giusti segnali e affidarci serenamente, quando è il tempo opportuno, ad una pace che può anche voler dire interruzione di produttivismo pastorale (sempre che produca qualcosa), così come, nel momento necessario, apprendere a lanciarci senza posa in nuove ricerche, imprese, missioni. Non è saggio, almeno credo io, omologare i tempi della vita e della storia: ognuno ha in sé un suo unicum, che lo rende tempo di grazia. Non è sapiente affidare le pulsioni del cuore alle statistiche, o all’opinione del mercato -anche se religioso-: è solo ascoltando ogni voce differente e irripetibile che si possono aprire finestre di contemplazione della realtà e della sua portata soprannaturale, che conducono ad entrare vivi e vitali nel futuro di Dio.
Il saggio Qoelet lo aveva compreso molti secoli fa. Gesù stesso, per toglierci dalla tentazione dell’affanno, dell’ansietà, ci ha indicato nei gigli dei campi e negli uccelli del cielo dei maestri di discernimento e di saggezza. Chissà che ad essi non si possano aggiungere anche gli orsi che qui, seppur spaventino e siano temuti, sono visti con grande rispetto dalle popolazioni dei nativi.