Elettori responsabili
Astensione e deleghe in bianco non rafforzano la democrazia.
di Paolo Barani, Pastorale Sociale e del lavoro Modena e Carpi
A fine luglio 2022, il Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali ha pubblicato sulle pagine di Avvenire un interessante articolo dal titolo “Un colpo d’ala verso le urne: la società civile si faccia ascoltare”. Le diverse forze politiche oggi impegnate in campagna elettorale e domani sedute sugli scranni di governo e opposizione sono richiamate ad un fortissimo senso di responsabilità, facendo in questo modo eco alle parole del Presidente della Repubblica Mattarella e del Presidente della CEI Zuppi.
Emergenze di politica internazionale, sociali, economiche e sanitarie dovranno essere necessariamente affrontate. A leggerne l’elenco, certamente stilato per difetto, l’impresa appare ciclopica. Senza un impegno costruttivo e integrato di tutte le forze in vista di un bene comune in grado di abbracciare tutti e tutte, sia all’interno dei confini nazionali che al di fuori di essi, la partita è già persa a tavolino.
Il confronto di queste ultime settimane ci ha poi permesso di cogliere in quale modo i diversi partiti intenderanno agire, quali le loro priorità, quale la loro visione del futuro prossimo e anteriore del nostro Paese. Un aspetto rischia però di rimanere in sordina, travolti dall’altisonanza di certi titoli e dal protagonismo dei diversi leader: la responsabilità dell’elettore. Se è vero, infatti, che sarà prima responsabilità degli eletti e del governo attuare politiche costruttive di riforma, precedentemente a tutto ciò vi è la responsabilità dell’elettore nell’esprimere la propria preferenza di voto.
La responsabilità degli eletti viene, almeno sul piano cronologico, soltanto dopo. Occorre richiamare con forza questo aspetto: non è più tempo di essere elettori distratti, disattenti, assenti. C’è infatti un rischio nel continuare a sottolineare la responsabilità del “politico”: non richiamare a sufficienza quella dell’elettore. Vale invece la pena farlo. Ed ecco perché.
Scorrendo le percentuali dei votanti alle elezioni politiche rispetto al numero degli elettori, dall’elezione dell’Assemblea Costituente del 1946 al marzo 2018, si osserva infatti un crollo verticale: siamo passati dall’89% ad un misero 73% circa. I valori si sono mantenuti stabilmente intorno o sopra il 90% fino al 1979, per iniziare un lento declino, inabissandosi alle politiche del 2013 e del 2018. In questa ultima tornata, 27 elettori su 100 non si sono recati ai seggi.
Non è questo il luogo per poter approfondire le ragioni di questa crisi di partecipazione ai processi democratici, che sarebbe pur importante comprendere: allontanamento della politica dalla vita reale dei cittadini, incomprensibilità della comunicazione politica, litigiosità dei leader anche all’interno della stessa coalizione, eccessiva frequenza della chiamata alle urne, ininfluenza del singolo voto, disinteresse, protesta, impossibilità di identificazione valoriale… Ultima, ma non per importanza, lecito esercizio della propria libertà di cittadini. Votare non è un obbligo, non vi è sanzione. È un diritto che io devo volere esercitare. Ma è davvero così per chi ha a cuore il bene comune? La domanda è volutamente retorica.
Non recarsi alle urne appare una scelta poco oculata, sia per chi vive all’interno di una dimensione puramente laica, sia per chi si riconosce anche in un orizzonte di fede. Il cosiddetto “partito del non voto”, espressione sibillina per affermare che la percentuale dei non votanti è almeno pari a quella dei più importanti partiti italiani, non siede in parlamento. Chi non vota pensando che questa non-azione avrà un peso nelle scelte dei futuri governanti e sarà da qualcuno tenuta in debita considerazione andrà quindi incontro ad una cocente delusione. Chi avrà ricevuto voti siederà in parlamento; chi non ha votato, indipendentemente dalla ragione, di fatto e molto prosaicamente non sarà rappresentato da alcuno.
Al di là di qualche iniziale richiamo ad una maggiore vicinanza della politica ai cittadini, di loro ci si dimenticherà subito, visti anche gli impegni pressanti di cui sopra. Per chi poi vive una dimensione di fede, è noto come diversi pontefici abbiano affermato che la politica è esercizio concreto di carità, è possibilità di amore per il prossimo, è responsabilità imprescindibile per il bene comune. E il primo modo di fare politica è esattamente esprimere il proprio voto.
Mancano ormai pochi giorni alle elezioni: informiamoci in modo responsabile su programmi, candidati, alleanze; usciamo, se ce ne fosse bisogno, dalla nostra pigrizia, distrazione o, peggio, disinteresse. Rechiamoci alle urne consapevoli della nostra responsabilità e del fatto che ogni nostro voto ha un peso importante. Esercitiamo il nostro impegno di cittadini e di cristiani, ricordandoci che la nostra partecipazione non è semplicemente una piccola rotella di un ingranaggio incomprensibile, ma, al contrario, è pratica concreta di carità per la comunità e di amore per la democrazia.