Chi ha paura del merito? La scomposta reazione davanti al buon senso
IN PUNTA DI SPILLO, la rubrica di Bruno Fasani
Da giorni, sto cercando di capire la differenza tra le parole livore e opposizione. Riporto quanto dice la Treccani. Livore, “nell’uso comune, è sentimento d’invidia astiosa e maligna, rancore velenoso”. Opposizione è invece “azione con cui si cerca di ostacolare qualche cosa, di impedirne l’attuazione, di fare ad essa contrasto anche negando il proprio consenso”. Se poi volete anche sapere perché ho questi dubbi, vi rispondo che è una questione politica. Meglio, dei politici.
Ma partiamo dai fatti. Il Primo Ministro, la signora Giorgia Meloni, ha diramato un comunicato in cui chiede d’essere indicata ufficialmente come Il Presidente del Consiglio, con l’articolo “il” al maschile. Fatti suoi, mi viene da dire. Se va bene a lei! Per cui mi sfugge la logica di certo femminismo, salito in cattedra, per denunciare una presunta subordinazione culturale all’egemonia maschile. Magari la risposta più attendibile la potrebbe dare il Cavaliere che, su questo argomento sembra aver masticato qualche spina.
Ancora. Se avete notato, il Primo Ministro non parla mai di Stato, ma di Nazione. La differenza non è da poco. Lo Stato è l’istituzione politica, che governa un determinato territorio. Ha il compito di far rispettare le leggi e ha il controllo delle forze armate e di polizia che operano su quel territorio.
La Nazione, invece, è l’insieme delle persone che condividono lingua, religione, cultura, usi, costumi e tradizioni. Insomma, per la signora Meloni, prima viene l’identità di un popolo, poi la struttura politica che lo governa. Ottocentesca, retrograda, sono stati i commenti più buoni, come se l’identità morale di un popolo fosse cosa d’altri tempi.
Ma non è stato neppure questo che le ha riservato le reazioni più scomposte. E qui entra in campo il dubbio: opposizione o livore? Premetto che il governo non ha bisogno d’essere difeso. Tantomeno da me. Come non è neppure cambiando qualche parola che finirà per legittimarsi. Saranno i fatti a dire se merita d’essere apprezzato o meno. E questo riguarderà il futuro.
Per ora registro la rabbia schiumosa di chi contesta la nuova dicitura di un ministero importante, come quello dell’Istruzione, al quale il Primo Ministro ha voluto aggiungere la postilla “e del merito”.
Ministero dell’Istruzione e del merito. Leggo con voi l’articolo 34 della Costituzione: «L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Nel frattempo, l’obbligo è stato portato a sedici anni, ma i due aggettivi “capaci e meritevoli”, restano lì e non si prestano a interpretazioni diverse da quello che significano. Mi chiedo: chi ha paura del merito? Perché dove non c’è merito c’è posto solo per due alternative. O il demerito, o il privilegio.
Nel primo caso vuol dire un livellamento in basso, dove la qualità dell’istruzione diventa sempre più debole. L’Invalsi, che è l’Ente pubblico che studia la qualità dell’istruzione, dice che oggi uno studente, che esce dalla scuola dell’obbligo, ha grandi difficoltà a capire un testo di italiano di media complessità. A fronte di una scuola superiore, che diploma il 99% degli studenti, abbiamo le università che mettono in piedi corsi di italiano per insegnare a scrivere. Nel secondo caso è invece il privilegio a farsi strada, quando la famiglia alle spalle, le raccomandazioni, le conoscenze al posto giusto consentono la scalata alle sedie che contano e alle posizioni che rendono. Alla faccia del merito e delle potenzialità degli studenti. E vogliamo parlare del merito dei docenti? E allora mi chiedo se fare guerra su questo fronte sia livore od opposizione. Ma il dubbio rimane.