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Proprietà privata: quali violazioni in materia edilizia?

“Lo sportello di Notizie”: l’avvocato penalista Cosimo Zaccaria risponde alle domande dei lettori su questioni inerenti il vivere quotidiano.

Proprietà privata: quali violazioni in materia edilizia?

 

Gentile Avvocato Zaccaria, io e mio marito abitiamo in una villetta di campagna di nostra proprietà, dotata di un ampio giardino. La scorsa estate, lui e nostro figlio volevano costruire in mezzo al prato un gazebo in legno, da utilizzare per le cene estive all’aria aperta. Dal canto mio, li ho subito dissuasi ed esortati a rivolgersi preliminarmente a persona esperta di tali tipologie di interventi, poiché non vorrei mai che incorressimo inconsapevolmente in qualche abuso edilizio. Vorrei perciò rivolgerle le seguenti domande: queste violazioni costituiscono reato? E, in caso di risposta affermativa, come vengono punite dall’ordinamento?

Cara lettrice, la sua intuizione circa il pericolo di commissione di una violazione in materia edilizia è stata azzeccata. Vi sono varie tipologie di infrazione, a cui la legge italiana ricollega conseguenze diverse. Per comprendere quali siano, occorre innanzitutto inquadrare giuridicamente la nozione di “abuso edilizio”, anticipando fin da subito, così da fornire una prima risposta al suo interrogativo, che esso assume rilevanza non soltanto sotto il profilo amministrativo, ma anche dal punto di vista dell’ordinamento penale. Con questo termine si fa infatti riferimento ad un illecito di doppia natura: alla condotta abusiva, infatti, sono ricollegate sia conseguenze penali che conseguenze amministrative. La normativa di riferimento è rappresentata dal D.P.R. 380/2001 ovvero il “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” e, nello specifico, dal Titolo IV di tale legge, che ha ad oggetto la vigilanza sull’attività urbanistico – edilizia, le connesse responsabilità e le sanzioni previste per il contravventore. Utilizzo appositamente quest’ultimo sostantivo poiché, in generale, i reati edilizi ed urbanistici rientrano nella categoria delle c.d. “contravvenzioni”, che identifica quelle fattispecie punite con le pene dell’arresto e della multa.

Ed è proprio l’articolo che disciplina le conseguenze penali previste per questi illeciti – l’art. 44 del Testo Unico – che ci offre uno schema per esporre analiticamente le condotte integranti abuso edilizio. Tale norma, infatti, riproduce quello inserito nell’articolo 20 della previgente legge 47/1985 e raggruppa le contravvenzioni in questione in tre diversi tipi di infrazione, alle quali ricollega pene di diversa entità. Dall’analisi del testo dell’art. 44 emerge in primis che si ha abuso quando in materia edilizia non vengono osservate le norme, le prescrizioni e le modalità esecutive indicate dallo stesso titolo IV del testo unico, oppure dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dallo stesso permesso di costruire (cioè il provvedimento amministrativo richiesto all’autorità comunale e dalla stessa rilasciato, che abilita l’esecuzione di un intervento edilizio in conformità agli strumenti di pianificazione urbanistica ed alla normativa edilizia ed igienico-sanitaria).

Come può notare, gentile lettrice, dalla lettura dell’inciso non si ricava immediatamente quale sia la condotta che l’ordinamento intende sanzionare. Questa norma costituisce, infatti, una “ norma penale in bianco”, poiché il contenuto del precetto va di volta in volta ricercato in altre disposizioni di legge oppure negli strumenti e regolamenti edilizi, o ancora nei limiti dettati dalle stesse autorizzazioni concesse dalla Pubblica Amministrazione. A questa prima tipologia di comportamento abusivo la disposizione in questione riconnette unicamente una sanzione di tipo pecuniario, corrispondente all’ammenda fino ad euro 10.329, ferme restando ovviamente le sanzioni amministrative.

In secondo luogo, si commette reato quando si eseguono dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o in caso di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione. In questa seconda ipotesi occorre tenere in considerazione che il termine “permesso” assume un significato più ampio, potendo ricomprendere anche una denuncia di inizio attività (la c.d. DIA, una relazione tecnica asseverata, con la quale un progettista attesta la rispondenza degli interventi da realizzare alla strumentazione urbanistica locale e alle norme vigenti in materia edilizia, assumendosene le responsabilità, anche dal punto di vista penale). In particolare, per comprendere la portata dell’espressione “interventi eseguiti in totale difformità del permesso di costruire” è necessario sfogliare a ritroso il Titolo IV e soffermarsi sull’art. 31.

Questa disposizione li definisce come i lavori che comportano la realizzazione di una costruzione integralmente diversa – per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione – rispetto a quanto previsto dal permesso concesso oppure comportanti l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. Quando, invece, l’intervento è attuato in parziale difformità rispetto al permesso di costruire, il che accade quando la diversificazione non rientra in tale dicitura, si ricade nella prima ipotesi di comportamento, precedentemente analizzata. In questo secondo caso, la pena prevista dal Testo Unico è dell’arresto fino a due anni e dell’ammenda da euro 5.164 a euro 51.645. Si nota subito un’importante differenza, poiché viene prevista – accanto alla sanzione pecuniaria – anche quella detentiva.

La terza tipologia di reato edilizio risulta integrata dalla condotta c.d. di lottizzazione abusiva, descritta dall’art. 30 T.U. ed è punita con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da euro 15.493 a euro 51.645. Secondo la definizione fornita da questa disposizione, si ha lottizzazione abusiva a scopo edificatorio “quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché, quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio. Orbene, nel caso che mi è stato proposto, occorre innanzitutto comprendere se il tipo di struttura che suo marito e suo figlio desiderano creare rientra nelle opere di edilizia libera oppure se essa è compresa nelle costruzioni che richiedono l’autorizzazione del Comune, ossia il cosiddetto permesso di costruire.

Infatti, laddove dovessero rientrare in questa seconda categoria e l’autorizzazione non fosse da voi preliminarmente ottenuta, l’intervento verrebbe considerato un abuso edilizio (rientrante nella tipologia della commissione di opere in assenza di permesso, la seconda analizzata). In realtà non è sempre facile stabilire il confine tra edilizia libera e non, soprattutto per questa specie di strutture: gazebi, tettoie, pensiline, pergolati, ecc.., poiché si tratta di opere di limitata consistenza, il cui impatto sul territorio è generalmente modesto. Spesso la relativa disciplina è contenuta nei regolamenti edilizi comunali, ma la questione è stata di recente affrontata dal Consiglio di Stato, l’autorità massima in materia amministrativa (sent. n. 306/2017). Si è così affermato che il gazebo necessita del permesso di costruire quando la sua finalità non sia transitoria e precaria (è il caso, ad esempio, in cui venga allestito per un ricevimento di matrimonio). Solo il gazebo precario, che rimarrà montato per un periodo limitato, rientra nelle opere di edilizia libera. E la «precarietà» dell’opera, che esonera dall’obbligo di chiedere l’autorizzazione al Comune, necessita di un uso specifico e temporalmente limitato del bene.

Anche la Cassazione si è pronunciata in maniera concorde (Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 35481/2016) affermando che: “al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera a un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevante la realizzazione abusiva di sei piccoli manufatti, alcuni costruiti su basamento di cemento armato, altri su pedane di ferro, adibiti ad abitazione, avendo camera da letto, bagno, soggiorno, gazebo e recinzione)”.

In conclusione, cara lettrice, è bene che la vostra famiglia si rivolga all’Autorità Comunale prima di effettuare tale tipo di intervento, così da non incorrere in un successivo ordine di demolizione e, soprattutto, nelle sanzioni penali suesposte.

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