Andate avanti con coraggio e fede
Ricordando il 77° del martirio di don Venturelli: il suo ministero “a tutto tondo” per la gente di Fossoli.
di Carlo Truzzi
Don Francesco Venturelli giunse parroco a Fossoli dopo aver maturato un’esperienza pastorale di molti anni come cappellano militare e poi come cappellano della vivace parrocchia di Mirandola. Aveva 48 anni. Da subito comprese la situazione umana e religiosa dei parrocchiani e su di essa impostò la sua linea di intervento verso i parrocchiani. Li descriveva come “ex-socialisti, non rivoluzionari”, che “hanno subito il fascismo, accettato mai, ma senza reazioni serie se non qualche ragazzata”. Colse la scarsa istruzione e la povertà, a volte estrema, soprattutto nel grumo di case addensate nel Borgo (via Martinelli) e nella Valle.
Come condurre a una vita umana e cristiana queste persone? Don Venturelli si impose un cambio di rotta rispetto al suo predecessore don Gino Lugli, prete molto stimato e trasferito all’incarico prestigioso di rettore del seminario. Lo espresse con lo stile essenziale e a volte tagliente, che gli era proprio. Lo ha lasciato in una nota sul registro di contabilità alla data del suo ingresso in parrocchia. “Il Parroco D. Gino Lugli di Carpi vien chiamato ad esser Rettore del Seminario. E’ Sacerdote buono, zelante, attivo, austero con sé stesso e cogli altri, e che, come tutti gli uomini che vivono intensamente la vita interiore non hanno molto senso pratico, e anche agli altri alle volte insegnano ad applicare un principio e una virtù soprannaturale sorpassando e negando il principio e la virtù naturale. Errore imperdonabile, ma in loro scusabile”. E’ da sapere che don Lugli, alto, magro, ascetico, era convinto che avrebbe mandato in paradiso i suoi parrocchiani, soprattutto i “peccatori”, se avesse loro conferito il sacramento della confessione della “estrema unzione” prima della morte. Per questo motivo era abituato a insistere con tenacia persino irritante presso il capezzale del moribondo o fuori dalla stanza, dopo un primo rifiuto, mostrando appunto “poco senso pratico”.
Il nuovo parroco cambiò stile. Capitò, ad esempio, che venne chiamato per il funerale di un ostinato “anticlericale”, dato che i funerali “civili” nel pre-guerra non usavano più. Vi andò con chierichetto e croce processionale. Il capofamiglia gli notificò che ammetteva presso la bara solo il prete, ma non la croce, “perché la croce non è mai entrata in questa casa”. Don Francesco si adattò e il funerale si potè celebrare. “Il principio e la virtù naturale” non significava però indulgenza generale. Il parroco si indignò, quando il 1° ottobre 1944 i tedeschi lasciarono il Campo sguarnito di custodia. Mentre i parrocchiani si affrettavano a depredare di tutto, lui annotava: “La tribù di Fossoli invade il Campo e lo deruba e lo devasta”.
Dedicò particolare cura ai bambini e ai ragazzi. Prestava loro libri e poi faceva una “verifica” alla restituzione. Esortava i familiari a sottrarre i bambini e i ragazzi ai lavori nei campi o altrove per mandarli a scuola e a giocare. A questo scopo si era anche procurato l’unico pallone regolare di tutta la frazione. Aveva organizzato il gruppo degli Aspiranti di Azione Cattolica, il gruppo chierichetti e si prestava tutti giorni per la correzione dei compiti, meno il giovedì, che lui dedicava alla lettura personale e al viaggio a Carpi.
Ai chierichetti durante la guerra una volta chiese un prestito dalle loro cassettine, dove erano riposte le mance per il servizio prestato. Ne aveva un impellente bisogno per il Campo. Con la solita accuratezza rilasciò ricevuta a ogni ragazzo. È toccante l’esperienza della distribuzione ai poveri, durante la guerra, di quei pezzi di pane, che i ragazzi chiamavano “crostini”. In canonica si raccoglievano fette di pane di cui i componenti di certe famiglie si privavano a tavola. I ragazzi andavano a prenderli. Poi si mettevano in una carta pulita e i ragazzi li portavano a chi era alla fame.
Ai suoi cari chierichetti quattro mesi prima di essere assassinato confidò il suo timore di morire presto, indicando come voleva essere sepolto. Olinto Lugli, uno di quei chierichetti, ricorda bene quella sera. “Dopo una breve pausa, mentre noi eravamo immobili in un insolito silenzio, concluse: “‘E voi non vi disperdete, rimanete uniti, andate sempre avanti con coraggio, con gioia, con fede e per mano alla Madonna: con lei non avrete mai nulla da temere’. Quindi con viso sollevato ci congedò: ‘ora andate a casa prima che faccia buio’”. Uscimmo eccezionalmente adagio e in silenzio. Si sentiva solo il ticchettio degli zoccoli di legno sul pavimento e la sommessa protesta, col pianto nella voce, di Domenico Malvezzi”.