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Gli organoidi

Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon.

Gli organoidi

 

In questi giorni mi hanno posto un quesito etico sulla questione degli organoidi e le implicazioni bioetiche connesse. Ne approfitto, quindi, per scrivere qualcosa sull’argomento, forse sconosciuto ai più ma di grande interesse bioetico e in crescente sviluppo scientifico. L’organoide è un cluster (ammasso) di cellule, che si organizzano spazialmente, coltivate in vitro. La ricerca che ha portato questi risultati inizia nei primi anni del ‘900 e ad oggi si possono generare organoidi da cellule staminali umane di retina (anno 2012), da visceri umani e da staminali cerebrali (2013/2014). Questo tipo di realizzazione, dal punto di vista biologico, ha dei punti di forza: in alcuni casi la facilità di realizzazione, la possibilità di crioconservazione, la stabilità genica. Parimenti ha anche dei punti di debolezza come la comparsa di tessuto necrotico e ipossico, alta mortalità cellulare etc.

L’uso che se ne può fare è molteplice: per la pura ricerca o per la ricerca finalizzata, per lo studio dei farmaci, per la costruzione di modelli patologici umani attraverso i quali fare studi senza l’utilizzo di persone, per lo studio dei tumori, per studi di medicina personalizzata e rigenerativa, per sviluppare modelli dove applicare l’ingegneria genetica ottenendo, non solo modelli di studio, ma, anche la correzione di mutazioni genetiche responsabili di malattie gravi ed ereditarie. Dal punto di vista etico tutto questo non è esente da perplessità, tanto per fare un esempio, fondamentale è la provenienza delle cellule staminali: se utilizzate quelle adulte, iPSCs, ingegnerizzate per diventare pluripotenti (in grado di formare tutti i tipi di cellule del corpo), queste non sollevano problemi etici, diversamente da quelle estratte dall’embrione.

Senza ombra di dubbio questo modo di fare ricerca e di cura ha enormi vantaggi e fin d’ora è già iniziata una proficua collaborazione tra bioeticisti e scienziati per definire i termini della liceità della sperimentazione e applicazione in vivo. In questi casi il principio di precauzione deve essere sempre invocato ma nemmeno tacciare come demoniaco un progresso scientifico che può essere applicato a favore dell’uomo. Concludendo, possiamo affermare che questo tipo di risorsa è da accogliere positivamente, attenzionando in ogni momento l’evolversi della ricerca per coniugare sempre scienza ed etica nel cammino verso il vero bene dell’uomo.

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