C’è bisogno di una “comunità educativa”
Disagio giovanile ed episodi di violenza nelle scuole.
di Don Carlo Bellini, Vicario episcopale per la pastorale e l’evangelizzazione
I giovani sono per la società una grande gioia e una speranza per il futuro ma talvolta suscitano preoccupazione per quel tanto di novità e incompiutezza che portano e che si esprime talvolta in modi che non possiamo accettare. In questi ultimi tempi, ad esempio, ci sono stati alcuni comportamenti che hanno turbato gravemente la vita scolastica di alcune scuole di Modena e anche la normale vita delle scuole superiori a Carpi e Mirandola mostra alcuni problemi tipici dell’adolescenza. Naturalmente tutti ci chiediamo quale siano le soluzioni a questi problemi e anche se esistano. Alcuni invocano una maggiore severità educativa, magari fin dall’infanzia; spesso si pensa di ricorrere a provvedimenti disciplinari o di fare interventi quasi di “ordine pubblico” nella speranza di risolvere in fretta le situazioni eliminando i problemi. Esiste però anche la possibilità di affrontare questo tipo di situazioni dal punto di vista pedagogico, avendo sempre presente la crescita dei ragazzi.
Esistono esempi significativi di questo modo di agire come quello portato avanti da anni a Carpi dall’associazione Amici del Vallauri con il coordinamento del professor Raffaele Facci. Proverò qui a raccontare la sostanza di questa esperienza. Ci sono innanzitutto dei principi base: il primo è che l’educazione e la crescita di un ragazzo avviene all’interno di una comunità, in questo caso una comunità scolastica ma sarebbe corretto pensare che quello che avviene nella scuola è naturalmente collegato con quello che avviene nella famiglia, nello sport, nel resto delle attività ludiche e degli ambienti che i ragazzi frequentano. Dunque, la comunità nel suo complesso può intessere una serie di relazioni che sostengono la crescita del ragazzo. Un altro elemento fondamentale è un atteggiamento di ascolto nei confronti del vissuto dei ragazzi e di forte fiducia nel fatto che ognuno possa crescere esprimendo il meglio di sé.
Questi principi sono sostenuti, in questa esperienza particolare, dalla psicologia centrata sulla persona di Carl Rogers. Veniamo ora all’agire concreto applicato dai volontari della associazione Amici del Vallauri. Innanzitutto, all’interno della scuola c’è una stanza con una porta rossa dove i ragazzi possono sempre andare a bussare per parlare, per confrontarsi su quello che capita loro e dove incontrano ascolto e proposte. Sottolineo che qui non si esercita una pratica di tipo psicologico o psicoterapico ma una consulenza alla crescita di tipo pedagogico (eventuali problematiche di tipo schiettamente psicologico sono chiaramente affidate alla psicologia scolastica). L’efficacia di questa stanza degli incontri è però legata a una cultura generale dell’ascolto diffusa in tutta la scuola.
Per favorire questo clima di ascolto e di costruzione di relazioni coi ragazzi, si possono prevedere incontri di formazione per i professori, in particolare per quelli coinvolti nel middle management (il ruolo di chi, collaborando con il dirigente all’interno della scuola, fa da ponte fra le possibilità della scuola stessa – intese come norme, azioni, tendenza all’innovazione – e i suoi obiettivi, ndr) ma anche per i referenti delle varie classi. Non di meno si possono organizzare per i genitori percorsi che introducono a una maggiore capacità di ascolto con i propri figli. Il metodo messo a punto negli anni prevede anche un monitoraggio delle classi prime. In pratica tutte le classi prime all’inizio dell’anno vengono incontrate per conoscere i ragazzi personalmente con un piccolo questionario ed entrare così già in relazione.
Infine, c’è quella che potremmo chiamare la gestione dei casi sensibili, cioè di quelle situazioni di particolare disagio che emergono durante l’anno. Può essere il caso di classi “ingestibili” con problemi nei rapporti tra ragazzi o con i professori. In questo caso si possono fare interventi nella classe per favorire dinamiche di confronto e dialogo tra gli alunni e con i professori e vedere di impostare il lavoro in classe in maniera diversa e più utile. Poi ci sono le situazioni di singoli alunni. Nella famosa stanza con la porta rossa avvengono dialoghi e confronti per tentare di comprendere le cause che sono alla base di certi comportamenti e trasformarle in un’occasione di crescita; un possibile esito è la proposta di qualcosa di alternativo a una tradizionale sospensione della scuola, cioè un percorso di crescita personale che comporti anche un’esperienza di volontariato in qualche realtà esterna alla scuola come “Ero straniero”, “Recuperandia” o con progetti che già esistono a livello cittadino (dunque una trasformazione della sospensione in un percorso di crescita a seguito di un’alleanza educativa).
Ci tengo a sottolineare che in questa visione la scuola non è un luogo di mero insegnamento tecnico-culturale, ma non è neanche un luogo dove trasmettere valori che potremmo chiamare “di parte” cioè religiosi, politici, etnici; tuttavia, la scuola rivendica una sua specifica valenza educativa che si esprime nel desiderare e favorire la crescita di ogni ragazzo e non solo un corretto apprendimento delle materie. Senza dubbio un’impostazione di questo tipo richiede impe tempo, in parte anche risorse economiche, ma fa sì che la scuola diventi una vera palestra di relazioni e di crescita e che si rapporti con il mondo esterno non solo per contatti culturali o tematici ma sia un tassello di una comunità che nel suo complesso sa di avere un compito educativo. È peraltro innegabile che il disagio giovanile porta sempre con sé un messaggio per il “resto del mondo” che è necessario decodificare. Questo deve essere il primo interesse per una comunità che vuole occuparsi dei suoi ragazzi, prima ancora di reprimere e garantire l’ordine.
Concludo rilevando che anche le parrocchie, così come le associazioni e i centri sportivi, possono diventare luoghi in cui questa cultura dell’ascolto e della crescita può farsi strada; credo sia importante non dare per scontato che sappiamo come fare e invece aprirci al fatto che in questo campo c’è sempre qualcosa da imparare e gli strumenti non mancano.