Buona notizia discorso diretto
“Un colpo di frusta produce lividure, ma un colpo di lingua rompe le ossa” (Sir 28,17). Le parole che pronunciamo, se non stiamo attenti, possono diventare come delle bombe lanciate contro il nostro prossimo, ce lo ricorda spesso Papa Francesco. Tutti rivendicano il diritto di potersi esprimere con immediatezza e spontaneità, spingendosi spesso nella volgarità e nell’offesa gratuita, anche grave, ma forse pochi sono quelli che sentono il dovere di educarsi ad un buon uso del linguaggio. Dovremmo riflettere maggiormente sulle conseguenze che possono avere certe parole cattive e aggressive, facendo in modo che il nostro parlare divenga sempre più buona notizia capace di edificare il prossimo, è compito che riguarda tutti. Ma questo avviene nella misura in cui il nostro cuore si dispone all’ascolto della Parola di quel Dio che nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi; una piacevole espressione che si trova nelle prime pagine della Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II e che mostra tutta la Sua familiarità e la Sua vicinanza verso ciascuno di noi.
Parlare all’uomo di oggi con questo atteggiamento di amicizia è il compito della Chiesa, come una madre che parla la lingua materna nei confronti di un figlio, perché il dialetto materno dispone il cuore ad ascoltare meglio e trasmette coraggio, respiro, forza, impulso (Cfr EG 139) Il quarto cantiere sul quale la nostra diocesi sta lavorando è proprio quello del linguaggio, con particolare riferimento all’omelia domenicale “che per molti praticanti rappresenta di fatto l’unica occasione per attingere alla Parola di Dio”. Si tratta di trovare il linguaggio giusto per arrivare al cuore di quei fedeli che entrano nelle chiese spesso sovrappensiero, immersi nelle loro preoccupazioni, distratti dagli innumerevoli stimoli esterni che affollano la mente e il cuore e che rendono più difficile la comprensione e l’ascolto, ma d’altra parte desiderosi di parole profonde e comprensibili capaci di fare ardere il cuore come i discepoli di Emmaus; Papa Francesco dà ottime indicazioni a riguardo, nel terzo capitolo della Esortazione apostolica Evangelii Gaudium.
San Francesco, narrano le fonti biografiche, “cominciò fin dagli inizi della sua conversione a predicare la penitenza con grande fervore ed esultanza, edificando tutti con la semplicità della sua parola e la magnificenza del suo cuore. La sua parola era come fuoco bruciante, penetrava nell’intimo dei cuori, riempiendo tutti di ammirazione” (Fonti Francescane 358). Nella sua predicazione, prima di annunciare la Parola di Dio, salutava dicendo: “Il Signore vi dia la pace”. Questo nostro fratello, che traeva dalla ricchezza del suo cuore ciò che annunciava con ardore ed entusiasmo ai fedeli, insegna che il primo e più efficace linguaggio della Chiesa è anzitutto quello della santità, cioè di un amore grande che scaturisce dal cuore stesso di Dio e si dona a tutti coloro che lo accolgono con generosità.
Lui stesso diceva che il predicatore deve attingere nel segreto della preghiera ciò che poi riverserà nei discorsi, prima deve riscaldarsi interiormente per non proferire all’esterno fredde parole. Allo stesso tempo considerava di grande importanza anche la preparazione attraverso lo studio della teologia e della Sacra Scrittura. Nella Regola da lui scritta chiede ai frati predicatori di usare parole ponderate e caste annunciando a tutti i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso, perché Gesù stesso parlò con parole brevi. Lo Spirito Santo ci insegni oggi ad essere annunciatori credibili e appassionati della Gioia del Vangelo. Pace e bene.
Fra Marcello Fratelli di San Francesco
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