Intervista a Don Roberto Fiscer
Don Roberto Fiscer non è solo un sacerdote. È un sacerdote che ha capito come avvicinare la Chiesa ai giovani. Lo dimostrano gli innumerevoli follower che lo seguono sulle varie piattaforme social. Inoltre è uscito di recente il suo libro “Vita spiricolata. La mia fede fra le note” edito da Piemme. Per questo nuovo spazio di “CulturalMente” ho avuto il piacere di intervistarlo.
Don Roberto Fiscer, tu sei un sacerdote, ma anche un influencer con svariate decine di migliaia di follower. La gente per strada ti ferma chiedendoti se tu sia il prete di Tik-Tok?
Sì, capita perché oggi con i social è molto più facile entrare in relazione, al contrario di chi dice che i social allontanano. Se i social vengono utilizzati nel modo giusto aprono tante porte.
Come la Chiesa potrebbe usare questi nuovi strumenti per avvicinarsi ai giovani?
Prima di tutto bisogna imparare dai giovani. Imparare il loro linguaggio, altrimenti i nostri linguaggi sono distanti. Occorre cercare di capire quali sono i loro “trend”, ma non solo dal punto di vista dei social. Bisogna capire dove si muovono i loro cuori. Non basta aprire un profilo social per parlare ai giovani. Bisogna innanzitutto ascoltarli e poi capire quali sono le finestre che loro lasciano aperte e passarci con molta delicatezza, come la luce che è molto delicata.
Tu hai anche fondato una radio. Perché lo hai fatto?
Siamo partiti dieci anni fa con questa radio parrocchiale che poi è anche diventata diocesana, cioè della Chiesa di Genova e dei luoghi di sofferenza come gli ospedali o le carceri. Questa è una realtà che è nata perché credo molto nella musica che è un po’ come il “telepass di Dio”, ma anche delle altre passioni che noi abbiamo. Con la musica, ma anche con la poesia e la pittura si raggiunge più velocemente il cuore delle persone.
Parliamo del libro. Tu lo intitoli “Vita spiricolata” citando Vasco Rossi. Perché citare Vasco Rossi quando, anche in “Vita spericolata”, propone degli stili di vita molto lontani da quelli che dovrebbe avere un “cristiano perfetto”?
Di perfetto non c’è nessuno. Se leggiamo il Vangelo ci accorgiamo che Gesù stesso partiva dalla storia delle persone. A me piace partire anche dalle canzoni che poi raccontano la storia. Tutti noi abbiamo avuto dei momenti “spericolati”, dei momenti di buio, dei momenti nei quali, citando un’altra canzone di Vasco, volevamo “rimanere spenti”. È proprio lì che si nascondono i tesori più preziosi, nei momenti di buio, tra le pieghe della nostra storia. Gesù stesso ha utilizzato questa strada. Non ha scelto i perfetti o i migliori, ma ha reso migliori quelli che sceglieva. Si può partire anche da un testo come quello di “Vita spericolata” per capire che c’è anche un’altra vita spericolata che è quella di Dio, con lo spirito.
Lei all’inizio del libro scrive che ha riferito alla sua maestra che voleva diventare un capo ultras. Alla fine è diventato un capo ultras dei cristiani…
Per me era affascinante vedere i capi ultras a guidare i cuori della gradinata e penso che il sacerdote sia un po’ un capo ultras. La liturgia spesso utilizza delle formule che sembrano proprio degli inni come “in alto i nostri cuori”.
Tornando a lei e al suo rapporto con TikTok e Instagram. I suoi confratelli come vedono questa sua scelta di dedicarsi molto ai social?
Sicuramente ci vuole del coraggio per entrare in questa realtà. Occorre mettersi a nudo e tirare fuori anche quella che è la parte più umana di un sacerdote e della Chiesa che spesso viene vista solo come un insieme di riti e di regole da seguire e il prete come colui che detta queste regole. Il prete invece è una persona come gli altri, scelta come gli altri, scelta tra gli altri. Sicuramente all’inizio qualcuno può rimanere un po’ spiazzato. Basta pensare a quando il pastore va a cercare la pecora smarrita lasciando le altre novantanove. Il pastore viene visto un po’ come fuori di testa apparentemente. Però questo è lo stile di Dio: andare a cercare quelli più lontani.
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