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La dignità come rispetto del sé

Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon.

La dignità come rispetto del sé

 

Oggi, in diversi ambiti, in particolare quello sanitario, si parla spesso di dignità dell’uomo e del malato, ma, come tradurre concretamente nella vita questo alto concetto filosofico? Per comprendere come possiamo armonizzare la ricchezza della vita umana con il rispetto della sua dignità, prendiamo in esame una situazione comune a tutti: essere al capezzale di un ammalato. Per fare questo, attingo spudoratamente a un testo fondamentale e utilizzatissimo per chi si interessa e pratica la medicina palliativa: il libro di Max Chochinov sulla terapia della dignità. Questo autore, ha offerto un metodo realistico e pratico per entrare, in punta di piedi, nel mondo del malato, rispettandone e promuovendone la dignità. Anzitutto, il termine “dignità”, deve essere utilizzato e vissuto con sfumature diverse, non può essere applicato in modo univoco a tutti ma ad ognuno la sua specifica dignità.

Una buona parte di persone riconosce la dignità altrui associando il dare dignità all’apparenza fisica dell’interlocutore, ovvero, trattando il prossimo come questi vuole essere trattato, come l’altro si percepisce e vuole essere percepito dagli altri. La perdita di dignità è legata proprio alla vergogna e all’imbarazzo nel mostrarsi degradati nel fisico e nella mente e nell’interpretare la propria vita come espressione di una qualità molto bassa, aggravata dall’essere dipendenti da altri. Da qui si evince come la dignità sia legata profondamente alla percezione del sé e della propria natura di persona. Il come vuoi che gli altri ti vedano è il nocciolo della dignità personale. Se io desidero essere visto e, magari, ricordato in un certo modo, tutto quello che nega questo desiderio è un attentato alla dignità che, a lungo andare, può anche giustificare un desiderio fortissimo di morire. Se l’altro desidera di essere visto e trattato in un altro modo rispetto al mio allora questo devo realizzare per non ledere la sua dignità. Ovviamente tutto ciò ha dei limiti. Chi interviene sul malato, quindi, abbia a mente che controllando il dolore e la sintomatologia, soddisfacendo i bisogni personali e, facendo in modo che il paziente sia il più possibile autonomo, diminuisce la minaccia della perdita della dignità. Nasciamo degni di essere quel che siamo e nessuno può toglierci questo valore, nemmeno noi stessi.

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