Alla scoperta di Cristina Campo, poetessa e traduttrice
Cristina Campo
Nel quadro delle manifestazioni culturali della festa dei Patroni, si terrà martedì 23 maggio, alle 21, nella Sala Trionfini a Mirandola (piazza Ceretti 9), una serata di presentazione della figura di Cristina Campo, organizzata in collaborazione con l’associazione Politéia. Chiara Zamboni, già docente di filosofia teoretica all’Università di Verona – che da anni si occupa di pensiero femminile e ha curato il recente libro “Cristina Campo. Il senso preciso delle cose tra visibile e invisibile” (Mimesi 2023) – dialogherà con don Carlo Bellini, vicario episcopale per la pastorale e l’evangelizzazione. Pubblichiamo di seguito una introduzione all’evento.
di don Carlo Bellini
Cristina Campo visse nel Novecento e fu scrittrice, traduttrice e poetessa. Nata nel 1923, cioè cento anni fa, è oggi oggetto di interesse per il centenario della nascita, occasione finalmente di darle l’attenzione che merita e che le è stata negata in vita ma ancor più dopo la sua morte. Cristina Campo è difficile nella sua scrittura e può sembrare noiosamente aristocratica, ma per alcune persone l’incontro con lei spalanca emozioni e intuizioni che la fanno diventare una presenza amica per sempre. Si tratta di una personalità complessa e in fondo di una lettura ardua ma che gira intorno a temi e segreti che sono anche per noi oggi vitali. La sua passione per la parola, frammista di rispetto e timore, è una grande meditazione che può servire al nostro quarto cantiere sinodale, quello del linguaggio.
Cristina Campo è lo pseudonimo di Vittoria Guerrini, nata a Bologna nel 1923 da Guido, un musicista e dalla madre della buona borghesia bolognese. Da bambina visse a Bologna presso l’Istituto Rizzoli del quale lo zio materno, Vittorio Putti, era direttore. Non potendo frequentare la scuola a causa di un difetto cardiaco studiò da autodidatta imparando le lingue moderne sulla grande letteratura internazionale. La parola e la letteratura saranno sempre la sua passione e si potrebbe dire la sua vita. Visse nel mondo letterario del Novecento, prima a Firenze poi a Roma. Tra le sue frequentazioni troviamo Mario Luzi, Traverso, Turoldo, Alda Merini, Pound, Montale, Silone, Monicelli, Maria Zambrano. Ad un certo punto l’esperienza religiosa irrompe nella sua vita. «Quella della conversione di Cristina Campo alla religione cattolica è una storia segreta, difficile da decifrare… Quel che è certo è che tra il 1964 e il 1965 qualcosa le parla, la raggiunge da distanze infinite» (Cristina De Stefano, Bellinda e il Mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Adelphi). La fede diventerà sempre di più il centro della sua vita e della sua attività letteraria. Dobbiamo a Cristina Campo le prime traduzioni in italiano dei testi di Simon Weil e la pubblicazione de I racconti di un pellegrino russo e dei Detti dei Padri del deserto. La sua fede si nutrirà sempre di poesia e di uno speciale rapporto con la liturgia, in particolare le grandi tradizioni liturgiche orientali che poteva frequentare a Roma. Qui incontriamo un punto centrale nel suo pensiero: il nesso tra poesia e liturgia: «Più si conosce la poesia più ci si accorge che essa è figlia della liturgia, la quale è il suo archetipo, come tutto Dante dimostra» (C. Campo, Sotto Falso Nome, Adelphi). La liturgia per Campo nasce idealmente dall’unzione dei Maria Maddalena: «La liturgia cristiana ha forse la sua radice nel vaso di nardo prezioso che Maria Maddalena versò sul capo e sui piedi del Redentore nella casa di Simone il Lebbroso, la sera precedente alla Cena. Sembra che il Maestro si innamorasse di quello spreco incantevole. Non soltanto lo oppose alteramente alla torva filantropia di Giuda che, molto tipicamente, ne reclamava il prezzo per i poveri: “Avrete sempre i poveri, ma non avrete sempre me” – parola terribile che mette in guardia l’uomo contro il pericolo delle distrazioni onorevoli: Dio non c’è sempre e non rimane a lungo e quando c’è non tollera altro pensiero, altra sollecitudine che Se stesso – ma addirittura replicò quel gesto la sera dopo, quando, precinto e inginocchiato, lavò con le Sue mani divine i piedi dei dodici Apostoli, allo stesso modo che Maddalena, scivolando tra il giaciglio e il muro, aveva lavato i Suoi» (C. Campo, Sotto Falso Nome, Adelphi). Si comprende allora uno dei gesti più clamorosi della vita di Cristina Campo. Quando dopo il Concilio Vaticano II fu introdotta la liturgia nelle lingue moderne, Cristina scrisse una lettera a Paolo VI per chiedere che almeno fosse mantenuta la liturgia in latino nei monasteri e la accompagnò con una raccolta di firme di grandissimi personaggi della cultura, tra gli altri W.H. Auden, Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Julien Green, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, María Zambrano.
Questo può bastare per dare lo spessore di una donna dalla incredibile profondità che merita di essere conosciuta andando oltre le facili semplificazioni. «Il suo culto per la forma, l’amore per la tradizione, per non parlare delle sue critiche a certe applicazioni del Concilio Vaticano II ne farebbero una fanatica reazionaria; mentre il suo sentito ecumenismo, le tante amicizie ebraiche, l’interesse profondo per la cultura islamica la disegnerebbero come una progressista sincretista. Ma il fatto stesso della contrapposizione di tali letture («troppo a destra per quelli di sinistra e troppo a sinistra per quelli di destra») e l’estremismo delle posizioni da cui sono state affisse quelle etichette sono una critica alle stesse già sufficiente» (D. Vespier, Autoritratto della perfezione, Rubettino).
A Mirandola incontreremo la prof.ssa Chiara Zamboni, già docente di Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Verona, che da anni si occupa di pensiero femminile e ha curato il recente libro Cristina Campo. Il senso preciso delle cose tra visibile e invisibile (Mimesi 2023).
Ràdonitza
(Annuncio della Pasqua ai morti)
Vento di primavera
traslucido come spada:
esilia dal sèpalo affilato
il boccio cremisi che ancora trema,
come dall’anima lo spirito,
il sangue dalla vena.
L’inverno, occulto stelo
che cullò le intenzioni, incubò le mortali esitazioni,
falcia senza un grido;
le psichiche vecchiezze recide
dalla terribile vita.
Pasqua d’incorruzione!
Nel vento di primavera
l’antica chiesa indivisa
annuncia ai morti che indivisa è la vita:
su lapidi d’ipogei
posa i sèpali che ancora tremano
e al centro, al plesso, al cuore,
là dov’è sepolto il Sole,
là dov’è sepolto il Dono,
il piccolo uovo cremisi del perenne tornare,
dell’umile, irriconoscibile
trasmutato tornare.
Pasqua che sciogli ogni pena! Paradossale deserto
di un cimitero metropolitano
tra morbidissime ali
di rondini e veli: quinto tono,
grida di boiardi a briglia sciolta, a spada snudata
nella celeste Città espugnata,
cui si intreccia ed attorce, ottavo tono,
– come alla vivificante, venerabile Croce
dell’Archiereo la rosa che ancora trema –
il tenerissimo compianto funebre:
Pasqua, memoria eterna! Patetica, patrizia
morte della morte metropolitana
testimoniata da poche e immote bambole
di Corte asiatica: cremisi argento e oro.
Palpebre scavate,
palpebre affilate,
sguardi fissi, incollati, radicati
sugli ipogei d’ogni terra, ogni memoria, ogni stirpe,
ogni morente psiche.
Fazzoletti tergono furtivi
gli angoli della bocca che riga come sangue
il divino grido, le barbe riarse dall’acqua
inesauribile della notizia tremenda:
Pasqua, memoria eterna!
(Radonitsa, Annuncio della Resurrezione del Cristo al mondo dei morti, tradizione della Chiesa ortodossa russa nella seconda domenica dopo Pasqua)
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