Ricordiamo Giacinto Bruschi
La vita parrocchiale di Cibeno a inizio anni Cinquanta è ridotta agli obblighi dell’amministrazione sacramentale. Regge sulla buona volontà di alcuni giovani che partecipano però alle attività dell’Associazione di Azione Cattolica del Duomo ove addirittura sono iscritti. Il crollo del soffitto della chiesa il 23 agosto 1951 è uno scossone che sembra svegliare i cibenesi mettendoli di fronte alla realtà immutabilmente povera e animata solo da interminabili partite al pallone alla domenica pomeriggio di un gruppo di ragazzini in un cortile che fa da corridoio tra casa del sagrestano, stalla e beneficio. Non mancano i belli spiriti però. Il 2 settembre Enzo Corradi, Giacinto Bruschi e Dante Colli partecipano al Convegno interdiocesano GIAC a Concordia. Perduta la corriera, per stare fino all’ultimo minuto nel crocchio che circonda Carlo Carretto, Enzo e Dante tornano a piedi con la bandiera smontata e arrotolata, mentre Giacinto attende fino a sera un automezzo che lo riporti a casa.
Inizia così il ricordo di Giacinto. La famiglia abitava in una casa tipicamente agricola subito dopo le Scuole elementari sulla strada per San Marino. Il padre Primo con la moglie Egidia, mite e paziente, avevano oltre Giacinto tre figli maggiori, Giulio, Giuliana e Anna avviati agli studi superiori. Era anche Presidente dell’Associazione Uomini di A.C:, dotato di autorevolezza e rigore gestiva macchine per la lavorazione dei campi, ma la sua fede dichiarata e la sua appartenenza politica alla Democrazia Cristiana ebbero la conseguenza di essere emarginato in una realtà mezzadrile tenacemente politicizzata. A fine anni quaranta decise di trasferirsi ai piedi collinari dell’Appennino Modenese. Ricordo in ogni caso la presenza tra noi di Giacinto a una gita in bicicletta il 2 giugno 1952 al Santuario di Fiorano quando l’ultima salita mise in difficoltà il Bianchino di don Apelle e il successivo 6 giugno 1954 in veste di mascotte quando la squadra di Cibeno con il sottoscritto, in campo come “terzino tornante”, incontra la compagine della Cattedrale con un risultato finale di 6 a 6 nel campo di don Benatti. Il 1954 fu un anno decisivo per don Apelle parroco di Cibeno inesauribile nell’invitare i parrocchiani a una ripresa sempre maggiore delle forze cattoliche rimaste assopite per troppo tempo.
L’11 febbraio è una occasione di particolare e consolante lavoro. I giovani partecipano a un ritiro durato tutta la giornata. Si pranza insieme mentre un’eccezionale e straordinaria nevicata iniziata in mattinata, incessante, prosegue per tutto il giorno. Nel pomeriggio riaccompagno a casa Giacinto che abita a Budrione in via dei Morti. E’ una gita in bicicletta di una decina di chilometri (più il ritorno) fuori programma che in fondo desideravo, nella campagna a cui la neve garantiva un’unitarietà d’insieme arcana e impenetrabile. Quando rientro la stufa è accesa, le strade sempre più impraticabili per la neve implacabile e quieta. Il Vescovo mons. Artemio Prati trattiene il numeroso pubblico, sono gli uomini della parrocchia, sul Venticinquesimo della Conciliazione tra Stato e Chiesa e la conclusione è che “bisogna essere svegli nella difesa della libertà”. A quel punto sono completamente asciutto. Così si rafforzarono i miei rapporti con Giacinto.
L’Oratorio di S. Anna
In via Guastalla in quegli anni funzionava l’Asilo di Sant’Anna che ebbe il beneplacito del vescovo Mons. Della Zuanna il 1 ° agosto 1945 su richiesta di don Tonino Maria Gualdi. Era organizzato presso la villa Benassi usufruendo del piano terra e giardino. Affacciato sulla strada c’era l’Oratorio ove si officiava la Messa doto menicale e in particolare il mese di maggio con rosario alla sera, con l’affluenza dei locali e di tanti di noi da Cibeno “nuovo”. In quella strada abitavano molte famiglie religiose: i Davoli, i Ghidoni, i Bovi, e così via, occasione di allargare le nostre conoscenze.
Certo avvennero lì tanti incontri decisivi per le nostre scelte matrimoniali e di vita che vengono fissate da Giacinto in un testo “Il giorno di Sant’Anna” in cui scrive: “…t’aspettavo per accompagnarti a casa, senza mai aprir bocca… fino a quella volta che, pieno di coraggio, sono arrivato ad accarezzarti il campanello della bicicletta. E tu svelta come un fulmine mi hai preso la mano”. La facilità di Giacinto di scrivere poesie è talmente spontanea che i suoi versi occupano subito un loro spazio ideale, come si espandessero in una dimensione temporale in cui ti trovi anche tu. Anche i temi potrebbero essere i tuoi compagni di viaggio, come le tante filastrocche a fine di una gita in pullman in cui tutti si ritroveranno.
La lingua di Giacinto è essenzialmente il dialetto che dà una verità e una incisività particolare ai suoi versi. In A Gh’IVA… inizia in modo largamente intimo ed espressivo: A gh’iva… Tanti cosi da diret Ma al’sin miscédi Cun agli ombri ed la sira E l’aria cruda Di pinser ed la not La i-à purtedi via sègh. Ci basti questo esempio. Le occasioni sono sempre valide per ispirarsi tra cronaca, spirito, umanità, ironia, senso… Ogni occasione è valida: in pellegrinaggio, un pranzo celebrativo, un anniversario, il diario telefonico, il Natale , un matrimonio, un amico degli anni Cinquanta, l’orazione a Sant’Antonio, gli auguri per un’anniversario, la Notte Santa, la visita a un Santuario… Indimenticate le tante serate di “Fèr Filoss in Teater” in occasione della festa del Patrono coordinate da Massimo Loschi. Nel 1993 in occasione di una gita a Pescasseroli si forma una solidarietà teatrale tra Giacinto, Marisa Burani, Dafne e Renato Corsi, Iolanda Battini, diversi dei quali sono attori della compagnia dialettale La Vintarola già sperimentata con vari successi nel Teatro di Carpi che riportarono ad alto livello il contributo teatrale dei carpigiani e un ultimo salto perfezionistico si compì con la regia di Ruggero Rustichelli, autore anche di traduzioni e adattamenti.
Ma la presenza teatrale di Giacinto si sperimenterà anche nel gruppo Teatrale “Luigi Riccobono” diretto a Modena da Valentino Borgatti che seppe inserirlo valorizzando la sua dinoccolata figura, calandola in simpatiche caratterizzazioni messe anche in scena a Sabbioneta, uno dei primi teatri italiani. Non dimentichiamo che è stato per decenni responsabile del Centro Elettronico della Frarica prima esperienza a Carpi.
Di lui scrive l’attrice Francesca Giovanardi: “Ho conosciuto Giacinto quando entrai a fare parte de La Vintarola. Mi colpì la sua figura così fisicamente espressiva in contrasto con il suo animo leggero e garbato, una mente curiosa e frizzante dedicata alla poesia e al dialetto. Grazie mio compagno di teatro, per i tanti consigli dietro le quinte bisbigliati prima di entrare in scena. Ti voglio ricordare così sorridente, con una poesia tra le mani, assieme ai tanti amici della Vintarola: Arnoldo Leporati, Ciccio Silingardi e Ruggero, Carla Magnani, Giorgio Goldoni, Maria Cataldo, Luisa Davoli, Lanfranco Guaitoli e tanti altri che hanno lavorato per le scene, i costumi e il truc-co…… mentre saluti tutti con un arvedres. Non si potrebbe concludere meglio questo ricordo. Una stagione carpigiana si chiude alle nostre spalle. Lo salutiamo con i suoi ultimi dialettali versi: E al tramount L’è l’elba d’un dè nòv!!! Grazie Giacinto. Ci mancherai!
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