Pubblicato il

Canterò per sempre l’amore del Signore

Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 2 luglio 2023.

Canterò per sempre l’amore del Signore

 

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Commento

Continua questa domenica la lettura del capitolo 10 di Matteo che contiene il discorso missionario di Gesù ai discepoli mandati a evangelizzare. Il breve brano di oggi è ancora una raccolta di detti che Gesù ha pronunciato in varie occasioni e che l’evangelista raccoglie qui. Il primo detto riguarda l’amore verso Gesù che deve essere più forte di quello verso i parenti. Si noti che il versetto parallelo di Luca riporta “chi non odia il padre e la madre”; probabilmente il verbo odiare è sembrato a Matteo troppo forte ed ha espresso lo stesso tema col verbo amare. In ogni caso Gesù afferma che l’amore verso di Lui deve essere più forte di qualsiasi altro amore umano. Se prendiamo sul serio queste parole dobbiamo dedurre che a Gesù non basta essere annoverato tra gli amori di una vita ma esige di essere al primo posto nell’amore. Forse intende che l’amore verso di Lui ha una qualità diversa, ha un valore originario e in qualche modo sostiene e permette tutti gli altri amori.

Non dobbiamo anche dimenticare il quadro concreto nel quale Gesù pronuncia queste parole che è la missione e il discepolato. Sappiamo che spesso l’adesione a Cristo provocava divisioni nelle famiglie dove qualcuno si convertiva suscitando la contrarietà degli altri. Questo stesso quadro ci deve guidare a capire anche il detto sul portare la propria croce. In questo contesto portare la croce vuol dire patire le conseguenze della conversione e della missione, cioè non temere di andare incontro a difficoltà e incomprensioni dovute alla propria scelta di fede.

Segue poi un detto sul perdere e sul trovare la vita. Si tratta di un’affermazione paradossale in cui chi trova la sua vita la perde e chi perde la sua vita per Gesù la trova. Trovare la vita significa vivere una vita piena e degna di essere vissuta. È un bel modo per dire ciò che tutti tentiamo di fare vivendo la nostra vita al meglio delle nostre possibilità. Ebbene Gesù ci dice che ogni nostro tentativo, ogni nostra strategia va incontro al fallimento se non mettiamo Gesù al centro del nostro progetto. Anzi il paradosso sta proprio nel fatto che rinunciando a noi stessi per Gesù, perdendo la vita per Lui, la troviamo e la guadagniamo.

Questo paradosso è un classico di tutte le vie spirituali che sempre insegnano che l’uomo si trova quando esce da sé e in fondo è anche la dinamica dell’amore tra uomo e donna, dove uno si trova donandosi all’altro. Il perdersi è l’inizio della capacità di amare. Lo specifico del detto di oggi è che il perdersi è a causa di Gesù. È quell’amore totale di cui parlano i primi versetti in cui ci si perde e che ci ridona a noi stessi con una dinamica che è la vera vita.

Nei versetti che seguono riemerge il tema della missione in modo evidente. Qui è particolarmente importante la parola accogliere che ricorre cinque volte. Per il diritto dell’antichità il messaggero era uguale a chi lo mandava. Comprendiamo allora il profondo valore del versetto “chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”. Accogliere l’apostolo inviato e la sua parola spalanca le porte dell’incontro con Gesù e con il Padre. La regola diplomatica diventa qui una profonda verità teologica. Inoltre, l’accoglienza genera una serie di relazioni che creano un mondo nuovo. Se da una parte il discepolo deve mettere in conto opposizione ed anche conflitti famigliari, dall’altra riceve un nuovo mondo di relazioni e parentele.

Ancora oggi l’annuncio del vangelo ha questa profondissima valenza e dobbiamo sempre ricordare che annunciare la parola di Gesù è fare un grande dono alle persone, è un grande gesto di carità. Da qui il significato degli ultimi versetti dove se è vero che i missionari avranno vita difficile è vero anche che qualcuno li accoglierà. L’accoglienza del messaggero di Gesù porta una grande ricompensa. Ricompensa nell’aldilà alla fine dei tempi, ma anche ora perché conoscere la parola di Gesù incarnata in un discepolo è una grande fortuna.

L’opera d’arte

Salita di Gesù al Calvario (1599-1600), Sacro Monte di Varallo (Vercelli). “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”. Così leggiamo nel Vangelo di questa domenica: parole che, in ambito artistico, evocano la celeberrima iconografia del “Cristo portacroce”, di cui è esempio monumentale la raffigurazione nella cappella 36, la Salita al Calvario, del Sacro Monte di Varallo. Un complesso, patrimonio mondiale dell’umanità (Unesco), dove lavorarono, dalla fine del ‘400, numerosi artisti per riprodurre idealmente i luoghi della Terra Santa.

Le sculture in terracotta di questa cappella furono realizzate dal fiammingo Jan De Wespen, detto il Tabacchetti: circondato da una folla caotica, che rappresenta la brutalità e la durezza della condizione umana, Gesù è schiacciato sotto il legno della croce. Attorno a lui, nobile figura di sofferente, le facce ripugnanti – nell’arte fiamminga simboleggiano tradizionalmente la bruttezza del peccato – di quanti lo insultano e lo percuotono. Unico gesto di pietà, quello della Veronica, che regge il velo su cui si è stampata l’impronta del volto di Cristo.

V.P.

Condividi sui Social