È davvero ora di finirla di evitare ai ragazzi le loro responsabilità
In Punta di Spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Sarà che passando gli anni si diventa più liberi nei giudizi, sarà che vedendo le cose dall’alto dell’esperienza si percepiscono meglio le contraddizioni del presente, sta di fatto che mi sono stancato del politicamente corretto. Ma che cosa si intende quando si parla di questo fenomeno? Per dirla in poche parole, si tratta di quel potere ideologico (Tv, giornali, politica, lobby pseudo culturali…), che ti dice come devi pensare, come devi comportarti, cosa devi dire, cosa è giusto mangiare, come ti devi vestire… Qualcuno, con grande acume, lo ha definito il busto ortopedico del pensiero e della vita. Non potendo cambiare la storia, si cambiano le parole, convinti che basti dire o pensare in un certo modo per far funzionare le cose. A cominciare dalla scuola, che dovrebbe essere lo spazio morale in cui si aiuta la famiglia a costruire gli uomini e le donne del futuro.
Nei giorni scorsi a Rovigo, come in tutta Italia, si sono tenuti gli scrutini per valutare l’andamento scolastico degli alunni. Tra loro i due ragazzi che, durante l’anno avevano sparato in faccia ad una insegnante con una pistola ad aria compressa, pubblicando poi sui social il fatto, giusto per vantarsene e prendere per i fondelli la malcapitata. Un gesto che causò qualche problema fisico alla signora, ma che avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi, come ci hanno riferito i medici che l’hanno presa in cura. Ebbene i due gentiluomini che, in altri tempi, sarebbero stati bocciati, aiutandoli a riflettere sul come si fa a diventare adulti, sono stati invece promossi a pieni voti, con un nove in condotta, quello che si dà alle persone perbene che, di fatto, è l’avallo ad un comportamento che, in una società sana, finirebbe invece sotto la lente del penale. Siamo al politicamente corretto, quello che ci dice che i ragazzi non devono mai pagare, ossia a quel bambinismo giudiziario che li mette sempre al riparo dagli effetti dei loro comportamenti, addossando tutte le colpe alla famiglia, alla Chiesa, alla politica, ai media, alla società. Una cultura deresponsabilizzante che, sotto il pretesto di tutelarli, finisce per farne dei delinquentelli in erba, ben consapevoli di poter marciare sotto l’ombrello protettivo dell’impunità. E il cittadino sconsolato si domanda: dove andremo a finire con questo buonismo della deficienza?
Da una scuola all’altra. Questa volta in Lombardia. Qui, il 29 maggio scorso, un ragazzo dell’Istituto superiore Alessandrini, estrae dallo zaino un coltello di 20 centimetri e colpisce per tre volte l’insegnante. Aveva con sé anche una pistola a gas, del tutto simile ad un’aranche ma vera. La probabile causa del gesto è che rischiava un debito in italiano, ossia quella che un tempo era una materia da riparare a settembre. Solo per un disegno del Cielo, non ci è scappato il morto. Ora, a differenza dei colleghi di Rovigo, il ragazzo qui è stato bocciato e buttato fuori dalla scuola. Premesso che provo per lui più pena di quanta ne provi per i suoi coetanei veneti, anche qui il politicamente corretto si è fatto strada. Questa volta da parte della sua famiglia che ha dato incarico ad un avvocato di impugnare il provvedimento della bocciatura, perché non sarebbe giusto far ricadere il comportamento sul rendimento scolastico. E mi chiedo: ma sono deficienti? Non in senso dispregiativo, ma nel senso di deficit, di mancanza di qualcosa. Anche se, a Rovigo, qualche ragione gliela avrebbero concessa.