Diario missionario dal Madagascar /1
Da sinistra: don Antonio Dotti, Francesco Panigadi, monsignor Erio Castellucci, suor Elisabetta Calzolari
Foto Pagina Facebook Missio Modena
In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.
In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.
Giorno 1
Partenza ore 12.30. Ottima compagnia quella modenese, abbiamo perfino due infermieri. Ci sentiamo protetti. Abbiamo tanto tempo in aeroporto (Bologna, ndr), nella condivisione delle letture (la Chiamata di Abramo, il Vangelo della pagliuzza e della trave). Don Erio ci invita a non considerare il viaggio solo come lo spazio fra una tappa e un’altra ma ad amarlo come in Abramo, come cifra della propria esistenza. Prendendo spunto dal Vangelo Francesco Panigadi (direttore del Centro Missionario di Modena, ndr) invita a sospendere il giudizio sul popolo malgascio e su ciò che incontreremo. Forse probabilmente avranno qualcosa da insegnarci loro. Io rifletto sulla possibilità di togliere la trave dall’occhio, bisogna lasciarsi guardare dallo sguardo pieno di cura amorevole di Dio, come dice il salmo del giorno.
Giorno 2
Arrivati sani e salvi ma alle 16.30 (orario di Antananarivo, capitale del Madagascar, ndr). Un viaggio infinito (colpa di due scali aerei). Ci muoviamo con una combo (un pullmino) che ricorda molto quelle flowerpower delle avventure degli anni ‘70. Lungo le strade vediamo i contrasti della capitale, i palazzoni di fianco alle baraccopoli. Tanta povertà e diffusa, ad ogni angolo si incontrano persone che chiedono aiuto economico ed implorano aiuto.
La stanchezza è guarita dall’ospitalità malgascia delle Suore Francescane di Palagano che ci ospitano ad Antanananarivo. Comunità a maggioranza malgascia, frutto di 50 anni di missione.
Gioia vera, profonda e palpabile nella cara suor Elisabetta Calzolari, la pioniera della comunità ora appunto radicata e missionaria (una casa anche in Paraguay, di sole suore malgasce). Gioia perché don Erio è il primo vescovo di Modena e il primo vescovo di Carpi a scendere a trovarle.
Ci costringono a mangiare ma fanno bene: la loro ospitalità è gustosissima, come i sapori dei cibi, frutto del lavoro del loro giardino.
Festeggiamo il compleanno di Pietro. Lui è partito anche per vedere Ludovica, la nipotina che è nata in Madagascar da Emanuele Barani e Maria Teresa Gambigliani, la coppia di giovani sposi modenesi in missione qui da un anno.
Nella messa, dove i canti in malgascio raccontano la fede di tutte queste ragazze in cammino per la vita religiosa, don Erio spiega la porta stretta del Vangelo come il passaggio necessario (la porta è Gesù) per diventare capaci di dono e non dei predatori.
Le suore ci raccontano chi sono anche grazie ai balli e alle loro danze tipiche: sono un popolo giustamente fiero delle proprie radici.
In stanza ho due pensieri: bisogna proteggersi dalle zanzare e quindi spruzzare e spruzzarsi spray ovunque, e la condivisione degli spazi col Vescovo, quindi “in filiale rispetto e obbedienza” (cit. dal rito di ordinazione).
Domani si parte alle 4.30, ci attende un viaggio di 14 ore (!).
Giorno 3
Parte il lungo viaggio con la combo, ci muoviamo verso sud. L’autista ci spiega che per evitare multe deve legare i bagagli sul tetto: speriamo il meglio. Sull’altopiano dove siamo in questa prima parte della missione, fa freddo. In molti avevamo sottovalutato il problema ma sono sufficientemente coperto.
Francesco, che con sua moglie Lara ha vissuto tre anni qui in Madagascar, ci spiega che in malgascio esistono due modi di dire “noi”, uno inclusivo e uno esclusivo. Vediamo di imparare a pensare col primo modo.
Lungo la via capiamo che le persone vivono per la strada, fin dalle 5 del mattino. Effettivamente le case che vediamo sono molto improvvisate e non sono confortevoli come le nostre. Francesco ci spiega che loro non hanno come noi una stanza a testa, e vivono numerosi in poco spazio. Vicino alle case si notano le tombe artigianali dei propri morti, le tombe di famiglia. È tipico della cultura malgascia il culto dei propri antenati. Non esistono i cimiteri pubblici o se ci sono ospitano solo gli stranieri.
Passiamo per Antsirabe, la seconda città più grande dell’isola. Vediamo tanti bambini, probabilmente seguono il ciclo di vacanze come il nostro pur essendo in un altro emisfero, dove le stagioni sono invertite. Anche il sole segue percorsi diversi da quello a cui siamo abituati, qui ha lo zenit a sud invece che al nord.
Non vediamo fabbriche, da decenni non funzionano e non hanno sviluppato la ferrovia. Vediamo solo risaie e numerose e artigianali produzioni di mattoni di terra cotti e di ghiaia realizzata a mano a martellate. Le famiglie sembrano sopravvivere soprattutto attraverso il commercio dei prodotti delle proprie coltivazioni private.
Ci muoviamo da nord a sud, non abbiamo segnale. Se ci dovesse succedere qualcosa saremmo in balia di tutto.
Ci fermiamo temporaneamente ad Ambositra, dove dovremmo trovare il segnale della rete: il Vescovo deve fare una diretta per Radio Vaticana che ha saputo del viaggio e vuole conoscere meglio le motivazioni della nostra avventura. Purtroppo, però, per motivi tecnici, la diretta salta.
1 – continua
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