Diario missionario dal Madagascar /2
Nella rubrica “Diario missionario dal Madagascar” gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, che in questi giorni accompagna il vescovo Erio Castellucci nella visita pastorale sull’“isola rossa”, insieme a Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena
Foto Pagina Facebook Missio Modena
In questi giorni (26 giugno-7 luglio) il vescovo Erio Castellucci si trova in Madagascar per una visita pastorale accompagnato da don Antonio Dotti, direttore del Centro Missionario di Carpi, e Francesco Panigadi, direttore del Centro Missionario di Modena.
In questa rubrica pubblichiamo gli appunti di viaggio quotidiani inviati da don Antonio Dotti.
Giorno 3
Parte il lungo viaggio con la combo, ci muoviamo verso sud. L’autista ci spiega che per evitare multe deve legare i bagagli sul tetto: speriamo il meglio. Sull’altopiano dove siamo in questa prima parte della missione, fa freddo. In molti avevamo sottovalutato il problema ma sono sufficientemente coperto.
Francesco, che con sua moglie Lara ha vissuto tre anni qui in Madagascar, ci spiega che in malgascio esistono due modi di dire “noi”, uno inclusivo e uno esclusivo. Vediamo di imparare a pensare col primo modo.
Lungo la via capiamo che le persone vivono per la strada, fin dalle 5 del mattino. Effettivamente le case che vediamo sono molto improvvisate e non sono confortevoli come le nostre. Francesco ci spiega che loro non hanno come noi una stanza a testa, e vivono numerosi in poco spazio. Vicino alle case si notano le tombe artigianali dei propri morti, le tombe di famiglia. È tipico della cultura malgascia il culto dei propri antenati. Non esistono i cimiteri pubblici o se ci sono ospitano solo gli stranieri.
Passiamo per Antsirabe, la seconda città più grande dell’isola. Vediamo tanti bambini, probabilmente seguono il ciclo di vacanze come il nostro pur essendo in un altro emisfero, dove le stagioni sono invertite. Anche il sole segue percorsi diversi da quello a cui siamo abituati, qui ha lo zenit a sud invece che al nord.
Non vediamo fabbriche, da decenni non funzionano e non hanno sviluppato la ferrovia. Vediamo solo risaie e numerose e artigianali produzioni di mattoni di terra cotti e di ghiaia realizzata a mano a martellate. Le famiglie sembrano sopravvivere soprattutto attraverso il commercio dei prodotti delle proprie coltivazioni private.
Ci muoviamo da nord a sud, non abbiamo segnale. Se ci dovesse succedere qualcosa saremmo in balia di tutto.
Ci fermiamo temporaneamente ad Ambositra, dove dovremmo trovare il segnale della rete: il Vescovo deve fare una diretta per Radio Vaticana che ha saputo del viaggio e vuole conoscere meglio le motivazioni della nostra avventura. Purtroppo, però, per motivi tecnici, la diretta salta.
Ci fermiamo a mangiare in un ristorante. Prendere qualcosa lungo la strada per degli improvvisati come noi potrebbe essere rischioso. Ho provato il piatto di riso con la carne di Zebrù e mi è piaciuto. All’uscita ci attendevano pazienti e ci assalgono uno stuolo di donne desiderose di venderci sciarpe di seta grezza: Francesco del Centro Missionario di Modena, che è anche l’organizzatore del nostro viaggio, si immola per il gruppo e riesce a contrattarne l’acquisto di 7 a 8 euro circa l’una. Il pranzo al ristorante invece ci è costato 6 euro a testa.
Riprendiamo il viaggio, destinazione Fianarantsoa. Sono le 14, ci mancano solo cinque ore on the road, strada che però è sempre più disastrata.
Per strada tanti risciò umani. Si possono notare anche tante chiese di confessioni cristiane diverse: l’ecumenismo qui in Madagascar è la normalità.
Dopo ore a chiacchierare, leggere, pregare ma soprattutto ad osservare il paese profondo, i suoi colori, la sua vitalità, arriviamo alla Casa della Carità di Fianarantsoa, una delle tante della missione diocesana reggiana dal post-concilio in Madagascar. Qui dormiremo. Ci accolgono le suore, tutte malgasce, con tanta cortesia. Nella cappella interna salutiamo il Signore. Il tabernacolo è realizzato…con una pentola sopra tre pietre di quarzo viola. C’è infatti un detto locale: “chi sa cucinare su tre pietre tiene in piedi il mondo”. Ma il mondo lo tiene in piedi il Signore Gesù Risorto, presente nell’Eucaristia! Il principio cardine delle Case della Carità di don Mario Prandi poi sono i tre pani della presenza del Risorto nella Chiesa: i poveri, la Parola, l’Eucaristia. Rappresentati dai tre quarzi viola.
Anche il crocifisso della cappella è curioso: è un Gesù Risorto con le braccia alzate vittoriose, che da crocifisso sta per ascendere verso il Cielo.
A cena uno “scherzo da prete”: per festeggiare la nostra visita le sorelle ci hanno preparato i cappelletti (come la sera prima i tortellini le suore Francescane di Palagano. Probabilmente si son passati voce)! E io che pensavo di togliere qualche chilo di peso venendo qui mi sa che dovrò ricredermi. Assaggio anche la loro papaya, molto buona.
Prima di ritirarci andiamo a passeggiare fino alla casa maschile, con tanti novizi in cammino. Recitiamo la Compieta con loro ma soprattutto gustiamo l’armonia dei salmi splendidamente ritmati e cantati in malgascio a più voci.
Giorno 4
Dormito abbastanza e abbastanza bene, con tre panni. Il pensiero maggiore è stato per la rete-zanzariera apposta ad ogni letto, perché lasciava sempre aperti dei pertugi.
Partiamo alle 6, destinazione Mananjary. Sei ore di viaggio previste.
Un particolare che non può non colpire: la maggioranza delle persone cammina a piedi nudi e magari, per lo più le donne, portando sulla testa montagne di cose, con un equilibrio e una dimestichezza invidiabili. Gli uomini invece portano spesso sulle spalle dei bastoni, per esempio con i caschi di banane, poste a destra e a sinistra.
Ci dice Francesco che le persone a piedi nudi preferiscono le buche all’asfalto lungo le strade, tutto quindi è relativo.
I piedi nudi mi fanno ricordare il motivo pratico della lavanda dei piedi di Gesù, il motivo vero è il lasciarci lavare da Lui per imparare e riuscire a lavarli e a lasciare che ce li lavino. Anche dai fratelli e dalle sorelle malgasce.
Mentre passiamo vediamo pulmini supercolmi di persone, dentro e fuori, e bagagliai sui tettucci straripanti di tutto. Una sfida alle leggi della fisica.
I bambini sono tutti sorridenti e ci salutano sempre. Noi ricambiamo e scherziamo dicendoci che sembriamo un po’ il Papa, ma in realtà la benedizione ce la stanno dando loro.
Il nostro camion si blocca per un rumore: panico.
Ne approfittiamo per scendere e fare una sosta.
Meno male che il nostro autista Alain è esperto, sistema e si riparte.
Stiamo abbandonando l’altipiano, scendiamo verso l’oceano. Viaggiamo in direzione sud-est. Sta cambiando il clima, diventa tropicale.
Attraversiamo il Parco termale naturale di Ranomafana. Le case cambiano, ora sono fatte del legno pregiato di Ravinala, la tipica palma a ventaglio, simbolo del Madagascar, che qui in effetti abbonda. Sono su palafitte, perché questa è zona di frequenti cicloni, è facile si allaghi spesso, soprattutto da dicembre a febbraio.
2 – continua