Benedirò il tuo nome per sempre, Signore
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Commento
Il Vangelo che ascoltiamo questa domenica ha alcune caratteristiche molto singolari. Si trova in mezzo a testi che mostrano il rifiuto di Gesù e del suo messaggio, eppure è caratterizzato da grande entusiasmo per il successo delle parole di Gesù. O meglio tra tante difficoltà e tanti fallimenti Gesù si rende conto che alcune persone accolgono la sua parola. Questa intuizione suscita in lui una grande gioia, quasi un moto di esultanza, come si coglie meglio nel brano parallelo di Luca: “in quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse …” (Lc 10,21). Dal punto di vista letterario si tratta di una raccolta di tre detti, cioè di frasi celebri che la tradizione riferiva a Gesù. Il primo è una preghiera di ringraziamento che sgorga dal suo cuore con entusiasmo perché si accorge che alcuni uomini accolgono la sua parola. Le “cose” che il Padre rivela e cui si riferisce Gesù sono la lieta novella del Regno di Dio, la sostanza del suo messaggio al mondo. I piccoli sono gli uomini umili, incolti, i poveri del Signore che sono disposti con il cuore aperto ad accogliere una buona notizia. Con il termine piccoli l’evangelista si riferisce anche ai discepoli. Contrapposti a loro ci sono i sapienti e gli intelligenti, spesso i destina-tari dalla predicazione dei saggi, che però non sono sufficientemente aperti da accogliere le parole di Gesù. Nel caso concreto li possiamo identificare con la categoria degli scribi e dei farisei. Un atteggiamento di supponenza intellettuale non aiuta a capire il vangelo che è un messaggio radicale e semplice.
Il secondo detto si esprime con parole e stile insoliti nel Vangelo di Matteo, ce lo aspetteremmo di più nel Vangelo di Giovanni. Il tema è il rapporto tra il Padre e il Figlio e la piena rivelazione che si ha nelle parole del Figlio. Comprendiamo queste parole sullo sfondo del dibattito molto diffuso al tempo di Gesù su quale sia il luogo della sapienza e come la si possa guadagnare. Gesù rivelando il Padre diventa anche il vero luogo in cui si mostra la Sapienza.
Il terzo detto riprende il tema dei destinatari della rivelazione rimanendo all’interno di un ambito sapienziale. Vale la pena ascoltare un brano del Siracide che probabilmente fa da sfondo al testo di oggi: “Avvicinatevi a me voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia scuola. Perché volete privarvi di queste cose, mentre le vostre anime sono tanto assetate? Ho aperto la mia bocca e ho parlato: ‘acquistatela per voi senza denaro. Sottoponete il collo al suo giogo e la vostra amina accolga l’istruzione: essa è vicina a chi la cerca’” (Sir 51, 23-26). Gesù ripete l’invito ad avvicinarsi alla sapienza e aggiunge che è rivolto a tutti coloro che sono affaticati e oppressi. Il primo significato di oppressi riguarda co-loro che stanno sotto la religione delle regole imposta dai farisei. Ma noi possiamo sentire questo invito rivolto a tutti gli uomini che sono oppressi da condizioni di vita che non permettono di vivere il senso delle cose, di gustare la vita nella sua pienezza fino ad aprirsi alla trascendenza. Alcuni aspetti del nostro vivere oggi, dalle condizioni di lavoro alla superficialità delle relazioni, ci derubano di quella che dovrebbe essere la vera qualità della nostra vita.
L’insegnamento di Gesù è un giogo che non è opprimente, la sua via ci apre con serietà e leggerezza un approdo alla vita di cui abbiamo assolutamente bisogno. Le qualità richieste sono la mitezza e l’umiltà di cuore, sulle quali tante volte Gesù ritorna in vari modi. L’uomo mite e umile sa accogliere la vita e donarla per quello che è, vede le cose nella loro realtà più vera. Per quest’uomo è possibile il riposo, che torna a essere una delle manifestazioni dell’uomo salvato e ci ricorda il riposo di Dio al termine della creazione. Il fatto poi che Gesù dica “imparate da me che sono mite e umile di cuore” ci apre un prezioso squarcio sulla sua interiorità e capiamo che i suoi insegnamenti erano tutti espressione della sua esperienza personale.
L’opera d’arte
Alvise Vivarini, Cristo benedicente (1498), Milano, Pinacoteca di Brera. “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Così Gesù parla di sé nel Vangelo di questa domenica. Ed è un Cristo umile, dalla pacata e nobile bellezza, quello che vediamo nell’opera di Alvise Vivarini, brillante interprete della stagione rinascimentale veneziana. L’iconografia mostra una singolare fusione fra il tema del Salvator Mundi – il Cristo benedicente visto di fronte, con il globo nella mano sinistra – e il Cristo Portacroce, solitamente raffigurato di tre quarti mentre trasporta lo strumento del suo supplizio.
Qui il riferimento alla Passione è reso da Vivarini tramite una evocativa croce “in miniatura”. Dietro la testa del Redentore si scorgono lampi di luce, come una specie di nimbo che incornicia il volto di Cristo. Il soggetto e le dimensioni ridotte della tavola suggeriscono che l’opera sia stata pensata per la devozione privata. Tale destinazione è confermata, inoltre, dal taglio ravvicinato – che tanto ricorda Antonello da Messina – e dallo sguardo di Gesù rivolto verso l’osservatore, ad annullare, per così dire, la distanza tra spazio reale e spazio pittorico.
V.P.
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