Intervista a Federico Moccia
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale.
Federico Moccia, scrittore e sceneggiatore, è stato tra i grandi nomi di Carpi Film Festival e oggi è protagonista di questo nuovo appuntamento di Cultural-Mente.
Tu hai conquistato innumerevoli lettori con “Tre metri sopra il cielo”, romanzo inizialmente pubblicato nel 1992 da un piccolo editore. Si aspettava questo successo straordinario arrivato anni dopo la prima edizione pubblicata a proprie spese?
No. Io mandai il libro alle varie case editrici che non lo accettarono perché pensavano che fosse una storia esagerata. Lo pubblicai a spese mie con una piccola casa editrice che sia chiamava “Il Ventaglio”. Il successo arrivò ben 12 anni dopo perché il libro aveva girato “in fotocopia” perché la gente in realtà lo cercava, ma Il Ventaglio aveva chiuso fino a quando lo ha trovato un produttore che ha deciso di farne un film e sull’idea del film tutte le case editrici di allora improvvisamente lo trovarono eccezionale. Io lo pubblicai con la Feltrinelli, il libro fu primo in classifica per tre anni di seguito vendendo 1.850.000 copie.
Se ancora non avesse scritto “Tre metri sopra il cielo” e ancora oggi ricevesse dei rifiuti pubblicherebbe “in self”?
Assolutamente sì. Moravia ha avuto una situazione simile: il suo libro era stato rifiutato e lui lo ha pubblicato a spese sue. Io credo che a volte avere la possibilità di farsi conoscere e pubblicare sia una linea intensa, forte. Se tu credi in quello che fai c’è più passione, più trasporto. Non ti devi abbattere ai primi no. Devi pensare che spesso, come è accaduto con “Tre metri sopra il cielo” la gente si sbaglia.
Tu domenica 27 a Carpi hai parlato di libri, film e teatro. Cosa lega questi tre elementi della cultura?
Secondo me sono modi diversi di raccontare. Hanno una loro capacità di essere declinati in modi più diversi con le difficoltà e il fascino più diverso. Io ho raccontato di come ho iniziato a scrivere “Tre metri sopra il cielo”, di come è diventato un film, di come improvvisamente è tornato un grande successo internazionale dato che quest’anno è stato pubblicato persino in America, di come sia diventato una serie su Netflix e un’opera teatrale.
Sei figlio d’arte. È stato tuo padre Pipolo a trasmetterti la passione per il cinema?
È stato il suo modo di vivere che mi ha illuminato. Io ho seguito tutte le cose che faceva sempre con il divertimento con il quale me le raccontava. Lui ha fatto tantissimi film, anche in bianco e nero. Addirittura ha fatto dei film per Totò, “Totò truffa”, “Totò e i giovani d’oggi”. Ha fatto film di Celentano, “Il bisbetico domato”, “Innamorato pazzo”. Tutti grandi successi. Lui mi ha insegnato il rapporto con la vita e con il successo. Il successo è qualcosa che ti capita, a volte per caso, a volte perché ci sono degli effettivi meriti, ma una cosa è sicura: il successo arriva dalla gente e non puoi che amare le persone.
Ti sei laureato con una tesi su Jack London e Federico Moccia. Cosa c’è di Jack London in Federico Moccia?
Quando l’ho letto le prime volte a scuola mi è piaciuto moltissimo ed è stato in qualche modo l’iniziatore della mia lettura. Quando ho letto Martin Eden, un bellissimo libro che parla di un marinaio diventato scrittore per amore, ho trovato delle affinità perché molta gente non voleva pubblicarlo pensando che fosse esagerato. Mentre lui diceva che quel libro non faceva altro che raccontare la sua storia, quello che aveva vissuto, quello che gli era successo quando da marinaio era diventato scrittore. Queste similitudini mi hanno divertito e convinto a fare una comparazione tra l’amore che aveva raccontato Jack London attraverso Martn Eden e l’amore che io ho raccontato attraverso Step [il protagonista di “Tre metri sopra il cielo”, n.d.r.].
Tornando al tema dell’amore, che consiglio d’amore daresti alle nuove generazioni?
Di saper amare in maniera sincera, di saper amare le differenze nella persona che trovi e saper accettare anche la fine di una storia.