Grande è il Signore e degno di ogni lode
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 22 ottobre 2023.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Commento
Anche questa domenica incontriamo Gesù coinvolto in una controversia con i farisei e i capi del popolo. I farisei vogliono cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi per screditarlo pubblicamente. Si tratta di una strategia da furbetti o peggio da uomini senza scrupoli abituati a tramare per eliminare chi è di disturbo, invece di incontrarlo su un terreno comune. Dunque viene pensato e realizzato un piano. Per lo scopo mandano a chiamare anche degli erodiani, un gruppo che si trova citato raramente nei vangeli e che aveva posizioni molto ben definite. Gli erodiani erano i sostenitori di Erode Antipa, re fantoccio che governava per conto dei romani e faceva parte della dinastia di Erode il Grande. Poiché Erode Antipa esercitava il potere sotto la protezione dei romani, era naturale che gli erodiani, nonostante fossero ebrei, non fossero particolarmente ostili ai romani. I farisei invece, senza essere rivoluzionari come gli zeloti, erano piuttosto insofferenti del dominio romano. Dunque questo gruppetto di farisei ed erodiani, che per l’occasione si alleano, va da Gesù e dopo aver tentato di ingraziarselo con dei complimenti (tu sei un uomo veritiero…) gli fanno una domanda molto spinosa, chiedono il suo parere sul pagare le tasse ai romani.
I sudditi dell’impero romano dovevano pagare un tributo detto kensos (in latino census). Ogni uomo, donna o schiavo, di età compresa tra i dodici e i sessantacinque anni doveva pagare il tributo che ammontava a un denaro, pari al salario giornaliero di un bracciante. Il pagamento avveniva in valuta romana e ai tempi di Gesù il denarius recava l’immagine dell’imperatore Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.) e l’iscrizione latina Tiberius Caesar Divi Augusti Filius Augustus Pontifex Maximus (Tiberio Cesare augusto figlio del divino Augusto, pontefice massimo). Ecco dunque una trappola ben congegnata. Se Gesù si mostra contrario al tributo rischia di avere guai con le autorità romane e ci sono lì gli erodiani a scandalizzarsi. Se al contrario afferma che il tributo deve essere pagato rischia di passare per collaborazionista dei romani presso i suoi connazionali più nazionalisti che sono la maggior parte. Che cosa farà Gesù? Per prima cosa è franco verso i suoi interlocutori. Con grande libertà e coraggio li chiama ipocriti e smaschera le loro intenzioni, poi accetta il confronto ma lo fa evolvere in maniera inaspettata, riuscendo in pieno a evitare la trappola. Dapprima con la risposta arguta che fa riferimento all’immagine dell’imperato-re si smarca dalla questione affermando blandamente che la tassa va pagata. Poi aggiungendo di dare a Dio quello che è di Dio sposta la questione su ciò che gli sta veramente a cuore, cioè il rapporto degli uomini con Dio.
Il nesso è che nel rapporto con Dio bisognerebbe essere solleciti almeno come negli obblighi di legge. Il versetto 22 che oggi non leggiamo dice che tutti rimasero meravigliati di questa risposta. Meravigliati di come se l’era cavata ma forse ancora di più di come era riuscito a portare sul piano spirituale un confronto partito così male. Questo in effetti è l’aspetto più sorprendente di tutto il brano e del comportamento di Gesù. Gesù non fugge di fronte al conflitto e non reagisce con aggressività verso i suoi interlocutori ma va dritto al suo obbiettivo approfittando anche di una situazione sfavorevole per annunciare il vangelo. Questa capacità non finisce di sorprenderci. Prima di tutto il non lasciarsi ferire dagli attacchi deliberati che cercano di coinvolgerlo in polemiche. Poi la capacità di rimanere centrato su ciò che nella vita è importante e riportare tutto lì. Per noi è un esempio e un insegnamento preziosissimo. Le nostre vite sono piene di questioni pratiche e potenzialmente polemiche che hanno bisogno di essere trasformate come ha fatto Gesù. Questo è possibile se il cuore, come quello di Gesù, è saldamente fissato e unito al Padre e lo sguardo sulla realtà ne coglie il senso più profondo.
L’opera d’arte
Bernardo Strozzi, Il tributo della moneta (1631 circa), Budapest, Szépmüvészeti Múzeum. Bernardo Strozzi, importante esponente della pittura barocca italiana, ha raffigurato in diverse versioni il brano del Vangelo di questa domenica. La sua prima attività si svolse, sotto l’influenza di Rubens e di Anton Van Dick, nella città natale di Genova, dove era entrato fra i Cappuccini, per poi uscirne dovendo occuparsi della madre ridottasi in miseria. Da qui fu soprannominato il Cappuccino o il Prete genovese.
Seguì un soggiorno decennale a Venezia, a cui si può ascrivere l’opera qui a fianco. Al centro Cristo, appoggiato di schiena a un banco, è accerchiato dai farisei, a cui risponde con una fermezza espressa dal gesto della mano. Il vecchio sulla destra, di profilo, sembra sbucare all’interno del quadro dallo spazio dove si trova l’osservatore: porge la moneta a Cristo e lo scruta negli occhi con uno sguardo concentrato e penetrante. Di profilo è anche l’uomo sulla sinistra, San Pietro, con la barba scura, non meno carico di tensione. Tipica dell’artista è la composizione a mezze figure, a cui si uniscono il naturalismo marcato dei volti e il gusto, quasi fiammingo, per la cura dei dettagli.
V.P.