Custodiscimi, Signore, nella pace
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 5 novembre 2023.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Commento
Il capitolo 23 del Vangelo di Matteo presenta un discorso di Gesù tenuto nel tempio di Gerusalemme di fronte ai suoi discepoli e alla folla radunata. Gesù parla degli scribi e dei farisei, che sono i suoi classici oppositori, per descrivere una religiosità che ha grossi limiti.
La prima critica è che dicono e non fanno, cioè parlano molto e si attribuiscono anche ruoli d’insegnamento, ma non hanno comportamenti coerenti. Gesù non sta dicendo che insegnano cose sbagliate ma si concentra sul fatto che loro stessi non le mettono in pratica, cioè non danno testimonianza in prima persona di ciò che insegnano e in cui credono. Anzi impongono pesanti fardelli sulle spalle della gente, cioè hanno un insegnamento esigente che richiede grandi sforzi, rendendo difficile da percorrere la strada che porta verso Dio. Probabilmente questa pesantezza fa riferimento all’applicazione delle norme sulla purità rituale, al pagamento delle decime e all’osservanza scrupolosa delle norme sul sabato sulle quali i farisei erano molto rigorosi. Gesù invece, pur senza negare queste norme, era capace di relativizzarle richiamandosi alla centralità dell’amore e in Mt 11,30 riprendendo l’immagine della pesantezza dirà che “il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”.
Nei versetti che seguono Gesù aggiunge altre pesanti critiche e dice che la motivazione vera della religiosità dei farisei è di essere ammirati dagli uomini. Filatteri e frange erano segni esteriori che indossavano gli uomini devoti, avevano un senso profondo ma potevano anche diventare occasione di ostentazione della propria religiosità. I primi posti poi sono un tipico esempio di ciò che gli uomini cercano, cioè il successo pubblico e il riconoscimento sociale: la religione può servire anche a questo. Allo stesso modo essere chiamati rabbì, cioè maestro. Tutto questo identifica una religione che è al servizio dell’io, che alimenta la superbia, gonfia e allontana dal vero spirito di umiltà davanti a Dio. Gesù insegna invece una fede che non cade in questi tranelli e che chiede all’uomo di essere libero prima di tutto da se stesso, per sperimentare che l’abbandono fiducioso nelle braccia del Padre dischiude la bellezza della vita.
Continuando sulla stessa linea di pensiero, nella seconda parte del testo di oggi, Gesù insegna a non attribuirsi ruoli di rilievo. Prima di tutto a non farsi chiamare maestro, perché uno solo è il maestro cioè Gesù stesso. La comunità è fatta di fratelli che sono tutti alla pari e l’unico maestro è il Cristo. Questo naturalmente non vuole escludere ruoli d’insegnamento o guida; le lettere di Paolo mostrano che nelle prime comunità cristiane esistevano capi e maestri. Il senso delle parole di Gesù è che il vero e unico maestro interiore che fa crescere le nostre anime è il Cristo Risorto, presente col suo Spirito nella Chiesa e nella nostra vita. Una cautela simile va usata anche per il titolo di padre, che è riservato solo al Padre che è nei cieli. Nel mondo semitico il titolo di “padre” era dato agli anziani in segno di rispetto. Per Gesù non esistono tra i membri della comunità ruoli di supremazia, tutti sono fratelli e servi gli uni degli altri.
Il testo termina con un tipico detto di Gesù che afferma in chiave escatologica il ribaltamento della condizione umana. I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi. Ogni uomo desidera legittimamente realizzarsi nella propria vita anche ricoprendo ruoli di rilievo nel lavoro e nella società, ma la nostra fede non serve a farci diventare qualcuno, è invece la scoperta che fidandoci del Signore troviamo noi stessi nel modo più autentico.
L’opera d’arte
Pietro Lorenzetti, Lavanda dei piedi (1310-19 circa), Assisi, Basilica inferiore di San Francesco. “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”. Fra i passi del Vangelo che meglio traducono in concreto queste parole di Gesù vi è la lavanda dei piedi, narrata dall’evangelista Giovanni. Ne proponiamo la versione di Pietro Lorenzetti, grande protagonista, insieme al fratello Ambrogio, della pittura del Trecento, mettendo in dialogo la tradizione senese con le novità introdotte dalla scuola fiorentina, ispirata da Giotto. La Lavanda dei piedi fa parte delle Storie della Passione di Cristo nel transetto sinistro della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi.
Il pittore dovette affrontare un ostacolo costituito dall’arcata nel muro, problema brillantemente risolto con una scena su due livelli: sulla destra, la balaustra, dove stanno appoggiati alcuni discepoli; sulla sinistra, Gesù inginocchiato davanti a Pietro, il quale si porta una mano sul capo per chiedere al Maestro che gli si lavi la testa oltre ai piedi, mentre con l’altra regge la gamba col piede scalzo. Il vivace dialogo fra i due imprime alla scena, incorniciata da una raffinata architettura, un senso di movimento che si trasmette a tutte le altre figure.
V.P.