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Attualità, Editoriali
Pubblicato il Novembre 15, 2023
Editoriale

Uno sguardo che cambia

Poveri: non numeri ma persone

di Suor Maria Bottura, direttrice Caritas Diocesana

 

Coinvolgersi in prima persona è la vocazione di ogni cristiano. È questo il richiamo più forte che avverto nel messaggio di Papa Francesco per la settima giornata mondiale dei poveri che si celebra domenica 19 novembre 2023.

Il titolo del messaggio, “Non distogliere lo sguardo dal povero”, rimanda al Libro di Tobia, e in particolare all’invito che Tobi rivolge al figlio quasi come un testamento spirituale (Tb 4,7); sono le parole – ricorda il Pontefice – di un uomo che ha perso la vista proprio compiendo un gesto di carità. “Ironia della sorte: fai un gesto di carità e ti capita una disgrazia. Ci viene da pensare così. Ma la fede ci insegna ad andare più in profondità» (2). Papa Francesco afferma che sperimentare la propria povertà ci rende capaci di attenzione reale all’altro e ai suoi bisogni. La cecità di Tobi diventerà la sua forza per riconoscere ancora meglio tante forme di povertà da cui era circondato.

Sembra un paradosso: parlare di sguardo proprio nel momento in cui Tobi sperimenta la cecità. L’invito a “non distogliere lo sguardo” suggerisce l’importanza di considerare non tanto la povertà, quanto i poveri, e ogni singolo povero nella sua realtà concreta. Durante la pandemia l’utilizzo della mascherina che nascondeva il viso ci ha permesso di renderci conto dell’importanza del contatto visivo. Il primo ascolto appartiene agli occhi, perché si entra in contatto con lo sguardo prima che con la voce. È con l’incrocio degli sguardi che inizia una relazione interpersonale perché i nostri occhi “parlano” più delle nostre parole. Essi esprimono emozioni, atteggiamenti, intenzioni, creano empatia o antipatia. Attraverso il linguaggio degli occhi passa il nostro io più profondo: il contatto visivo è un linguaggio autentico perché non ha tempo per calcolare, è immediato e rapido.

Il nostro modo di guardare l’altro rispecchia dunque il nostro essere. Lo sguardo annulla la distanza e crea presenza, genera contatto e incontro. All’opposto, rifiutare lo sguardo è rifiutare l’incontro, ignorare l’altro: è esperienza comune che quando non si vuole incontrare qualcuno si evita di guardarlo. Il Vangelo parla più volte dello sguardo di Gesù: pensiamo ad es. all’incontro con il giovane ricco (Mc 10, 17-27), oppure allo sguardo rivolto a Pietro durante il processo, dopo il rinnegamento (Lc 22, 61-62). Il suo è uno sguardo che raggiunge la persona nel profondo del suo essere e la fa sentire amata così com’è, con tutti i suoi limiti.

Nel suo messaggio il Papa offre una lettura della realtà che nasce dal riconoscere nel più fragile “il volto del Signore Gesù”, un fratello a cui andare incontro, “scuotendo da noi l’indifferenza e l’ovvietà con le quali facciamo scudo a un illusorio benessere” (3). “Ciò che fa soffrire viene messo tra parentesi. […] I poveri diventano immagini che possono commuovere per qualche istante, ma quando si incontrano in carne e ossa per la strada allora subentrano il fastidio e l’emarginazione” (4). Eppure, la parabola del buon samaritano, sottolinea Francesco, interpella il presente, ed è a questo punto che ci ricorda che “coinvolgersi in prima persona è la vocazione di ogni cristiano”.

Non distogliere lo sguardo da un povero significa allora entrare in relazione con lui e permettergli di cambiare la nostra vita; bisogna avere il coraggio di mantenere la relazione e poi di agire aiutando, non secondo le nostre necessità o il nostro volerci liberare dal superfluo, ma in base a quello che serve realmente all’altro. C’è ancora tanto lavoro da fare per assicurare una vita dignitosa a molti: Francesco auspica che si sviluppi “la solidarietà e sussidiarietà di tanti cittadini che credono nel valore dell’impegno volontario di dedizione ai poveri” (6).

Come ogni anno nel suo messaggio papa Francesco allarga lo sguardo ai nuovi poveri (7). Ricorda i bambini che vivono un presente difficile e vedono il loro futuro compromesso a causa della guerra. “Nessuno scrive – potrà mai abituarsi a questa situazione; manteniamo vivo ogni tentativo perché la pace si affermi come dono del Signore Risorto e frutto dell’impegno per la giustizia e il dialogo”.

Il Papa parla di bambini, di famiglie, ma anche delle speculazioni di chi punta al profitto, a danno dei lavoratori che ricevono una paga insufficiente, portano il peso della precarietà, o sperimentano la mancanza di sicurezza che genera incidenti sul lavoro. È ciò che vediamo anche nei nostri incontri in Caritas: molte delle persone che si rivolgono a noi hanno sì un lavoro, ma questo non è sufficiente per garantire una vita dignitosa alla propria famiglia o per risultare affidabile agli occhi di un proprietario per ottenere un in affitto. E così ci sono tanti “lavoratori poveri” che si trovano in difficoltà.

È forte anche la preoccupazione del papa per i giovani: “quante vite frustrate e persino suicidi di giovani, illusi da una cultura che li porta a sentirsi ‘inconcludenti’ e ‘falliti’”. “Aiutiamoli a reagire – è l’invito del Papa – davanti a queste istigazioni nefaste, perché ciascuno possa trovare la strada da seguire per acquisire un’identità forte e generosa” (8). Francesco mette in guardia dalla tentazione di fermarsi alle statistiche e ai numeri sui poveri: «Sono persone – ammonisce – hanno volti, storie, cuori e anime. Sono fratelli e sorelle con i loro pregi e difetti, come tutti, ed è importante entrare in una relazione personale con ognuno di loro» (8).

È questo il segreto: vedere l’altro ogni giorno con occhi nuovi, con quello sguardo di fede che ci fa scorgere nell’altro – che ci è prossimo – un figlio di Dio. Occorre affinare lo sguardo e accorgersi che il Regno di Dio passa anche attraverso i nostri sguardi accoglienti e attenti a chi ci è accanto. È quello che già fanno tante persone, definite da papa Francesco “vicini di casa” che non sono “superuomini” ma persone capaci di ascoltare, dialogare e sostenere. “La gratitudine nei confronti di tanti volontari chiede di farsi preghiera perché la loro testimonianza possa essere feconda” (5).

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