Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla
Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 26 novembre 2023.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”».
Commento
Celebriamo la solennità di Cristo Re, l’ultima domenica dell’anno liturgico. Nell’anno in cui leggiamo il vangelo di Matteo, la regalità è coniugata nei termini del giudizio. Il brano è infatti la famosa descrizione del giudizio finale in cui il re/giudice separa le pecore dai capri, i buoni dai cattivi. Si tratta di un racconto di giudizio, tipico della letteratura profetica e apocalittica, che Matteo declina in maniera originale, tanto che questo brano non ha paralleli negli altri vangeli. Il re che giudica è il Figlio dell’uomo e il riferimento principe è dunque al famoso testo del libro di Daniele che introduce questa figura (Dn 7,13-14). Sono convocati tutti i popoli, non solo i giudei, non solo i cristiani, ma tutti gli uomini della terra. I criteri che sono alla base del giudizio valgono dunque per tutta l’umanità. Il giudizio si basa sull’amore verso i fratelli e precisamente nei confronti dei fratelli più poveri, che sono in stato di necessità. Ma il testo va oltre dando una motivazione che è forse la parte più importante del brano. Quando sia i giusti che gli ingiusti chiedono spiegazioni, il re/Gesù risponde: «in verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
Il valore non sta in un generico voler bene ma nel fatto che Gesù è misteriosamente presente nei fratelli più piccoli. Soffermiamoci su quest’affermazione che anche nel racconto di Matteo sorprende tutti. Non è un’espressione poetica e neanche una metafora, cioè non significa qualcosa come “quasi come se ci fossi io”. C’è qualcosa di più, qualcosa di simile a una “presenza reale” e così è stata vissuta da tanti santi. L’amore al povero è un modo sicuro di amare e incontrare Dio. Chi ama l’uomo nella sua indigenza, nelle sue carenze, fa qualcosa di grande perché va oltre il normale desiderio di bene e tranquillità, non teme di sprecare la propria vita a contatto con esistenze rovinate. In fondo tutti sappiamo che la vita è una sola e desideriamo trarre il meglio dal tempo che ci è dato. Il povero rappresenta la vita segnata dal limite, che ha subito uno scacco e che tutti in fondo temiamo. Trovare tempo per i poveri vuol dire aver superato la paura di perdersi e di sprecare la propria vita, in sostanza vuol dire credere che la nostra vita è salvata e che il nostro presente è già immerso nella vita eterna donataci dal Risorto.
L’amore ai poveri ha molto a che fare con la resurrezione; ha tempo per i poveri chi sa che la propria vita è già aperta a una dimensione infinita. Allora non siamo più costretti a ottimizzare il tempo, a trarre il massimo dai nostri anni in uno spirito di accaparramento e possiamo fare della nostra vita un dono. Il giudizio centrato sull’amore ai poveri è in fondo una verifica di quanto la resurrezione di Gesù è diventata carne della nostra carne. L’identificazione di Gesù con i poveri ci rimanda all’Emmanuele, il Dio con noi e dunque ancora alla resurrezione. Merita di ricordare che per alcuni esegeti è possibile anche un’interpretazione diversa da quella tradizionale che abbiamo seguito fino ad ora. I termini chiave di questo testo sono la parola “popoli” (in greco ethne) e l’espressione “fratelli più piccoli”.
La parola greca ethne si può tradurre anche con pagani e l’espressione “questi miei fratelli più piccoli” è usata spesso dall’evangelista Matteo per indicare i discepoli e in generale i cristiani. Scegliendo queste traduzioni il testo cambia significato. Il giudizio di cui si parla è quello del Figlio dell’uomo nei confronti dei popoli pagani, quindi non convertiti al cristianesimo. Questo giudizio verterà su come hanno trattato i discepoli missionari e in generale i cristiani. Questa interpretazione è interessante perché rivelerebbe uno dei pochissimi brani del vangelo che parla esplicitamente delle condizioni di salvezza dei pagani e dunque della sorte finale di coloro che non si sono convertiti al cristianesimo. Essi potranno entrare nel regno di Dio, alla fine dei tempi, se saranno stati misericordiosi verso i cristiani, perché avranno amato con questo anche il Figlio dell’uomo, Gesù.
L’opera d’arte
Rogier van der Weyden, Giudizio universale, part. (1446-52), Beaune, Musée de l’Hôtel-Dieu. “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, (…) siederà sul trono (…). Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra”. Il brano del Vangelo di questa domenica trova piena corrispondenza nel monumentale Polittico realizzato dal grande pittore fiammingo Rogier van der Weyden su commissione del cancelliere di Borgogna Nicolas Rolin. Dei nove pannelli, quello centrale – che vediamo qui a fianco – è dominato dal Cristo giudice, con la Vergine da un lato e San Giovanni Battista dall’altro: seduto su di un arcobaleno mentre poggia i piedi sul globo, simbolo dell’universo, il Salvatore benedice con la destra i buoni e allontana con la sinistra i dannati, azioni rispettivamente evocate dal giglio e dalla spada. Sotto il Cristo, in piedi, maestoso, San Michele arcangelo, con la bilancia in cui pesa le anime. Queste sono rappresentate da due piccole figure ignude, i cui nomi sono “Virtutes” e “Peccata”. La prima, inginocchiata, guarda devotamente in alto, la seconda si contorce con terrore volgendo lo sguardo in basso.
V.P.