Il rischio del fatalismo dietro ai tanti auguri all’inizio di un anno nuovo
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
C’è una sorta di rassegnato e inconsapevole fatalismo dietro gli auguri che ci scambiamo ad ogni inizio di anno nuovo. È vero che augurarsi ogni bene possibile è sempre espressione di un animo buono, che esprime senso di protezione e affetto nei confronti degli altri, ma è altrettanto vero che il contenuto di questi auguri, spesso, riteniamo che non dipenda da noi. Come se sul nostro cammino gravasse l’incognita del destino, nella speranza che esso non ci sia ostile.
René De Chateaubriand, filosofo e diplomatico francese, sosteneva che dopo la corruzione morale accadono sempre le catastrofi perché Dio ha combinato l’ordine fisico e quello morale dell’universo, di modo che lo scombussolamento di uno si riflette inevitabilmente sull’altro. Si potrebbe ricordare anche quello che sosteneva Romain Rolland, Nobel per la Letteratura nel 1915, quando scriveva che, essendo la nostra natura essenzialmente religiosa, quando si estromette Dio dalla vita si finisce per uccidere se stessi.
Saranno anche pensieri impegnativi ma sui quali varrebbe la pena soffermarsi a riflettere, perché se c’è un problema del tempo in cui ci è dato di vivere, questa è la difficoltà a pensare. Siamo talmente bombardati di informazioni, che è diventato ormai impossibile fermarsi a riflettere. Come in uno spettacolo di fuochi d’artificio, dove la fantasmagorica esplosione di luci e colori impedisce di sostare su un punto fisso. Siamo travolti e immersi da qualche cosa che ci assorbe, distraendoci da tutto il resto. Oggi il bombardamento informatico non è soltanto quello dei media, ma più in generale quello di una cultura visiva, che va dalla pubblicità al digitale in genere, dove è l’occhio a guidare la mente e non viceversa. Non più penso e quindi sono, di Cartesio, ma vedo e quindi esisto, dell’uomo dall’intelligenza artificiale. Per tornare alla riflessione di partenza, viene allora spontanea la domanda: quanto degli auguri buoni che ci facciamo dipende dal destino e quanto dipendono da noi? Quanto del bene che potrà entrare nelle nostre case sarà frutto della nostra conversione al bene e all’amore e non di fattori esterni, quasi che il nostro agire fosse irrilevante?
Volendo dipingere un quadro a tinte fosche, potremmo chiederci cosa fare per invertire la rotta a questo tempo, paragonabile a un fiume in piena già prossimo alla cascata, con una caduta senza ritorno. I segnali per essere pessimisti non mancano. E non si tratta soltanto della minaccia della violenza, quella che ci viene raccontata dalle guerre, ma che ci lambisce anche nelle nostre città, ormai diventate sempre più insicure. Più ancora di questa violenza fisica, a fare paura è quella che minaccia l’animo della gente, lì dove abita il sentire morale, cioè umano, della vita. L’amore, la famiglia, la generazione di nuove creature, l’educazione, il rispetto, la fede… Dio, in definitiva, causa prima e ultima della storia e della nostra vita.
Viene allora di conseguenza una domanda: cosa fare per dare un contenuto di bene ai nostri auguri? La risposta, laicissima nei suoi contenuti benché qualcuno la possa confondere con una pia esortazione moralistica, è perfino banale nella sua formulazione. È indispensabile tornare a credere nelle virtù che domandano a tutti, a prescindere dalle convinzioni religiose, di saper distinguere e discernere il bene dal male, impegnandosi a perseguire il bene. Questo è il vero augurio responsabile che ci possiamo fare. E, allora, Buon Anno virtuoso a tutti.