Hanno detto “no” e dato la vita
Nel libro di Francesco Comina “La lama e la croce” storie inedite di cattolici che si batterono per la libertà contro il regime nazifascista
di Francesco Natale
È stato pubblicato per LEV “La lama e la croce”, libro uscito a ridosso del Giorno della Memoria in cui Francesco Comina, protagonista di questo nuovo spazio di CulturalMente, narra di storie di cattolici che si opposero a Hitler.
“La lama e la croce” è stato pubblicato a ridosso del Giorno della Memoria. Perché è ancora così importante ricordare un evento storico ormai passato come quello dell’Olocausto?
Perché le vite strozzate da quell’orrore non siano morte invano. Perché le voci degli inceneriti nei forni crematori o annientati nelle camere a gas continuino a urlare lo scandalo della spietatezza e della brutalità di un potere che aveva la presunzione di porsi al di sopra di ogni cultura umana e di realizzare un culto pagano basato sulla superiorità razziale, sull’uniformismo ideologico e sulla violenza sistemica. Il Giorno della Memoria è la rivelazione di quell’orrore e noi siamo chiamati a essere i depositari e i trasmettitori di un sogno condiviso da tutti gli oppositori al Reich: la realizzazione di un’Europa di pace e di solidarietà tra i popoli. Perché quell’abisso di male non torni mai più. Un sogno che è ancora tutto da costruire.
Lei scrive di molti cattolici si sono impegnati a combattere Hitler, anche a costo della propria vita. Il loro è solo coraggio?
I giovani di cui parlo nel libro (uomini, donne, sacerdoti, suore, padri di famiglia, ragazzini) hanno vissuto un dilemma interiore ferocissimo. Dovevano decidere se essere cristiani o nazisti. Non c’era modo di conciliare i due mondi distinti nonostante la maggioranza di cittadini siano vissuti in quella zona grigia che ha tacitato la coscienza. Non si poteva leggere la pagina delle Beatitudini e allo stesso tempo accettare che quegli stessi beati finissero annichiliti nei lager. E hanno risolto il dilemma salvando la propria coscienza e la propria fede senza precipitare nei gorghi della menzogna e dell’ipocrisia. Non fu una scelta presa a cuor leggero. Questi giovani amavano la vita, molti di loro avevano amori, passioni, attese, tenevano mogli e figli. Eppure hanno detto “No” perché non volevano essere complici e conniventi del male radicale. Hanno sacrificato la vita individuale per una libertà collettiva, per un amore smisurato per la parte sana del popolo tedesco tenuta soggiogata da un potere criminale che diffondeva odio e terrore.
Si racconta di tanti personaggi differenti. Le loro storie che filo conduttore hanno?
La coscienza. Hanno tutti agito in nome di una fedeltà ai valori fondamentali della coscienza che è quel catino dell’essere che custodisce il germe dell’umano, la bellezza di un’etica della bontà che arriva fino al sacrificio totale di sé per la salvezza altrui. E questa è la ricerca della verità (la nonviolenza gandhiana), ossia la consapevolezza che la falsità e la manipolazione sono esse stesse parte di un esercizio violento del potere che non può essere giustifi cato in nessun modo. Bastano le parole del teologo pacifista tedesco Max Josef Metzger, ghigliottinato dal regime nel luglio del ‘44, a cui ho dedicato il capitolo d’apertura del libro (uno dei giganti del Novecento quasi del tutto sconosciuto in Italia): “Sono e rimango un uomo libero, mi si possa anche incatenare ma la verità continuerà a sventolare ed io continuerò ad annunciarla coraggiosamente e se mi verrà tagliata la lingua allora io parlerò col mio silenzio”.
C’è una storia che ha riportato nel libro che l’ha colpita più di altre?
La storia di Walter Klingenbeck e del suo circolo di ragazzini. Avevano 16-17 anni nel 1941 quando iniziarono a fare la loro lotta per la resistenza e la contropropaganda al regime. Erano a Monaco e agivano nelle stesse strade, nelle stesse piazze e negli stessi anni in cui agiva il gruppo di studenti universitari della Rosa Bianca. Ma erano più piccoli. Eppure hanno fatto le stesse cose: volantini, incursioni notturne per scrivere sui muri dei palazzi la lettera V di “Victory” come volevano gli alleati, avevano creato una radio clandestina e avevano addirittura progettato un aereo telecomandato per lanciare dall’alto i volantini della ribellione. Per via di un delatore che li ha denunciati i ragazzi sono stati arrestati e poi processati. Furono condannati a morte ma alla fine solo Klingenbeck è stato decapitato appena compiuti i diciannove anni il 5 agosto del 1943. Gli altri riuscirono a ricevere la grazia e se la cavarono. Fu una pagina straordinaria di resistenza che è rimasta totalmente sconosciuta a differenza di quella della Rosa Bianca celebrata in tutto il mondo.