La cumbia della libertà
Quaresima: tempo di rinnovata speranza
di Don Massimo Dotti
Esiste un lessico che rischiamo di perdere… eroso da un appiattimento generale di cui non siamo sempre forse del tutto coscienti. Parole che si svuotano di significato, diventando ambigue, o comunque inefficaci ed incapaci di entusiasmare, di smuovere, di mettere in cammino. Il termine “libertà” così come ci è consegnato da Papa Francesco nel messaggio per la Quaresima di quest’anno, mi sembra lontano anni luce da tutto quello che questa stessa parola tende a significare nel contesto in cui viviamo. Diventa infatti facilmente sinonimo di autodeterminazione, a volte di leggerezza e spontaneità, più spesso di rinuncia a parametri in grado di definirci e, dentro a dei limiti necessariamente codificati, aprirci al desiderio di infinito.
Il papa inizia proprio alludendo alla schiavitù del popolo ebraico il quale, più ancora che essere schiacciato dallo strapotere del faraone si trova in “un deficit di speranza… di un impedimento a sognare, di un grido muto che giunge fino al cielo e commuove il cuore di Dio”. Chissà che non si possa attualizzare anche con “la noia” l’oggetto proprio della compassione di Dio, quel male che “è Dio a vedere, a commuoversi, a liberare, non è Israele a chiederlo”. Siamo davanti ad un tempo, quello della Quaresima, in cui Dio stesso vuole rivelarsi a noi e comunicarci un desiderio inedito di libertà. Vuole donarci la sua Parola, “le dieci parole nel deserto come vie di libertà”. Dice ancora il Papa: “Chiediamoci: desidero un mondo nuovo? Sono disposto ad uscire dai compromessi con il vecchio?”. Il tempo del deserto torna ad essere il “luogo del primo amore. Dio educa il suo popolo perché esca dal le sue schiavitù e sperimenti il passaggio dalla morte alla vita. Come uno sposo ci attira nuovamente a sé e sussurra parole di amore al nostro cuore”.
Ritengo che questo approccio possa essere di grande fascino in un tempo di appiattimento generalizzato e di “globalizzazione delle indifferenze”. Intuire che è Dio ad amare il nostro bene più di noi stessi, ad aver a cuore la nostra libertà dagli orizzonti infiniti, una libertà che il cuore dell’uomo, da solo, non sarebbe in grado di osare. Dice ancora il papa che “Dio non si è stancato di noi”: la quaresima è tempo di conversione perché “il deserto è lo spazio in cui la nostra libertà può maturare in una personale decisione di non ricadere schiava”, forse anche della noia, perché “questo comporta una lotta” che secondo papa Francesco può consistere anche nel “fermarsi in preghiera, per accogliere la Parola di Dio e fermarsi come il Samaritano, in presenza del fratello ferito”. Più che il faraone allora, che rappresenta la dinamica del “liberi da…” siamo invitati a sposare la logica del “liberi per…”, abbracciando, attraverso la palestra di “preghiera, elemosina e digiuno” uno stile rinnovato in cui anche “il cuore atrofizzato e isolato” possa risvegliarsi e aprirsi, insieme a tanti fratelli e sorelle, al “sogno di Dio, alla terra promessa” verso cui tendere, insieme.
Parla quindi il papa di un “tempo di decisioni comunitarie” seguendo lo stile sinodale che la chiesa sta riscoprendo e coltivando, affinché si possa vedere finalmente “la gioia sui volti, si senta il profumo della libertà, si sprigioni quell’amore che fa nuove tutte le cose, cominciando dalle più piccole e vicine. In ogni comunità questo può avvenire”. E pensare che si possa camminare proprio insieme, come chiesa, e che sia proprio il Signore a donarci orizzonti nuovi di speranza, permette al papa di declinare, secondo un lessico certamente originale, la conversione quaresimale come un “sussulto di creatività, il balenare di una nuova speranza” correndo il rischio di non pensarsi “in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine ma all’inizio di un grande spettacolo”. Potremmo fare a questo punto un piccolo esercizio: leggere in sinossi il testo della canzone vincitrice del Festival di Sanremo e il messaggio che il Pontefice ha preparato, in realtà diverse settimane fa, per il cammino quaresimale di quest’anno. Ammesso che il primo possa essere assunto come un indizio, un indicatore attualizzato, dello sforzo tutto umano del reagire al clima annoiato che la cultura odierna sostiene di respirare, nel secondo possiamo recuperare il significato “alto” della libertà cristiana in una dimensione quasi teologale: un valore aggiunto non di poco conto per questi quaranta giorni di grazia che stanno davanti a noi.