Morire respirando azoto puro
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
K. E. Smith è stato giustiziato, attraverso l’inalazione di azoto puro, in una prigione dell’Alabama. Questa esecuzione è la prima, nella storia, ad essere eseguita per mezzo di questo metodo, il quale potrebbe essere definito, senza ombra di dubbio, una tortura. Il detenuto era già stato sottoposto in passato, per lo stesso reato, ad un procedimento di morte attraverso l’inoculazione di sostanze letali, senza ottenere, però, l’effetto voluto. La seconda metodica utilizzata per ucciderlo, lo ha visto protagonista di un vero e proprio esperimento, trattato come cavia da laboratorio, e questo depone per un vero e proprio illecito. La decisione del sistema carcerario dell’Alabama di eseguire una sentenza di morte attraverso l’inalazione di azoto puro per provocare asfissia, è stata condannata dall’Onu e da diversi gruppi che lottano per i diritti umani. L’aspirazione del gas provoca ipossia (carenza di ossigeno) e conseguente morte per asfissia. Questa terribile pratica, legale negli Stati Uniti, è considerata contraria ai diritti umani da diverse organizzazioni non governative e anche dalle Nazioni Unite: uccidere Smith in questo modo equivale a torturarlo, anche se le autorità carcerarie assicurano che non dovrebbe aver provato nessun dolore. Al di là del metodo occorre, ancora una volta, prendere in seria considerazione l’atrocità della pena di morte. Da diverse parti si invoca una pena giusta e la certezza della pena, dove, soprattutto, l’ordinamento giuridico è carente e questo è cosa buona ma quando, in altre parti, si arriva addirittura a punire un reo con la morte assurgendosi a padroni dell’esistenza stessa dell’uomo, allora questo grida sgomento e indignazione. Non c’è reato che giustifichi la morte di un uomo e non c’è reato che non possa avviare un processo rieducativo e di riqualificazione di una vita fagocitata dall’odio e dalla violenza e molte volte dalla malattia mentale. Facciamoci piuttosto garanti di una pena certa che possa garantire non solo un medicamento per chi ha commesso un’azione malvagia ed illecita ma, soprattutto, che sia un percorso che riporti l’uomo alla sua vera identità e lo riabiliti come persona.