Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia
La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 10 marzo 2024
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
A cura dell’Ordine Francescano Secolare – Silvia e Lorenza
Lectio
Nel Vangelo della IV domenica di Quaresima (Gv. 3, 14 -21) Nicodemo, fariseo e uno dei capi dei Giudei, arriva di notte da Gesù per interrogarlo. Inizia un particolare dialogo che l’apostolo Giovanni colloca nel buio della notte per dare ancor più risalto alle parole di Gesù e ai quesiti di Nicodemo. Nello specifico si parte dal ricordare il serpente innalzato da Mosè per la salvezza del suo popolo, riferimento molto evidente all’innalzamento di Cristo sulla croce perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna. Questa salvezza è voluta da Dio, è Dio che vuole salvare il mondo e per questo manda il suo Figlio unigenito. Nel brano del Vangelo si coglie l’amore di Dio che non vuole giudicare o condannare, ma che pone all’uomo una scelta tra le tenebre e la luce, tra le opere del maligno e quelle della luce. Sarà dunque l’agire dell’uomo con le sue opere a determinarne la salvezza, se credendo in Cristo seguirà la luce che ha portato, oppure la condanna, quando compiendo il male l’uomo si allontanerà dalla Luce per rimanere nelle tenebre. Come il popolo di Israele nel deserto ha “guardato” al serpente innalzato da Mosè, per avere la salvezza e lo ha fatto con grande fede, così dobbiamo fare noi: guardare al Cristo crocifisso, riconoscendovi il Figlio di Dio.
Meditatio
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” Gesù nel dialogo con Nicodemo esprime la grandezza d’amore di Dio descrivendo il dono immenso che fa all’uomo: dare in riscatto il Suo stesso Figlio, ciò che ha di più caro, di più “suo”. E quale dono più grande c’è che lasciare andare il proprio figlio per la salvezza della moltitudine? Ma è proprio per la grandezza del dono che si accende una luce che ben difficilmente verrà oscurata. Ogni ombra viene fugata, il male non ha più dove celarsi. Anche Adamo si era celato allo sguardo di Dio perché riconosceva di avere trasgredito, ma Dio lo ha cercato fino a farlo uscire dal buio del peccato: per far tutto questo ha “ceduto” il proprio figlio. Io mi sento figlio amato da Dio mio Padre?
Oratio
Questo dono, come un fuoco, purifica e illumina la strada che porta a Lui, perché “i nostri piedi non inciampino”. Le tenebre del male e del peccato retrocedono e si dissolvono. Se la nostra vita resta “in luce”, confidando nella Misericordia divina, i sotterfugi del Maligno avranno vita breve. Gesù ci “attira” a sé, ci chiede, dandocene l’esempio e facendosi capostipite di una nuova umanità, di fare una scelta “di Luce”, “nella Luce”, “per la Luce”. Più il nostro cuore viene e rimane illuminato, meno spazio c’è perché le ombre del male vi trovino casa: “Gesù luce da luce, giorno senza tramonto, tu rischiari le tenebre, nella notte del mondo” (dall’inno di compieta).
Contemplatio
Chissà quante volte il giovane Francesco aveva rivolto lo sguardo al Crocifisso ma quando nella piccola chiesa di San Damiano in rovina e abbandonata “condotto” dallo Spirito entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore.” (2 Cel FF. 593-594) San Francesco vede e percepisce Dio, quel Crocifisso, come Amore, come fratello, lo sente partecipe della sua vita. Si sente in modo radicale figlio di Dio, amato e redento e così vede tutti gli uomini e le donne, perché tutti figli di Dio. San Francesco desidera diventare conforme a Cristo: ha guardato e ascoltato la Parola della Croce per “fare di Cristo l’ispiratore e il centro della sua vita con Dio e con gli uomini.” (Reg OFS). Il messaggio del Crocifisso continua a tal punto che nel 1224, due anni prima della morte, il Santo sale sul monte della Verna per vivere la Quaresima in onore di San Michele e qui riceve le stimmate, cosicché anche nel corpo appare trasformato in Cristo crocifisso.
Fractio
“Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Quindi non il giudizio, ma l’amore, la comprensione, la tolleranza e la pazienza sulla via di Cristo. In questo nostro tempo, nella frenesia del fare, e in questo cammino di Quaresima, una sosta, anche breve, davanti al Crocifisso all’insegna del pensare, contemplare e pregare, ci può dare l’opportunità per rivedere la nostra vita interiore, lasciarci “guardare” da Gesù e rileggere la nostra vita alla luce del Suo sguardo d’amore.
L’opera d’arte
Fritz von Uhde, Cristo e Nicodemo (1896), Collezione privata. Se nella storia dell’arte molte volte Nicodemo compare nella deposizione di Gesù dalla croce, rare invece sono le opere che si ispirano al dialogo intercorso fra i due. Ne proponiamo la versione insolita di Fritz von Uhde, artista tedesco attivo tra ‘800 e ‘900, che si espresse nella pittura di genere e religiosa, a metà tra realismo e impressionismo. Un giovane Gesù, dalla tunica rossa, e Nicodemo, avvolto in abiti contemporanei al pittore, sono soli, nella stanza al piano superiore di una casa.
L’ambiente è ammobiliato in modo semplice, con una sedia e forse uno sgabello dove Nicodemo è seduto, un tavolo dove sono appoggiati un libro aperto e alcune pergamene della legge, di cui Nicodemo è maestro e che ha portato con sé come per cercare di conciliarne i precetti con l’insegnamento di Gesù. I volti dei due personaggi sono raffigurati di profilo, gli occhi dell’uno in quelli dell’altro, evidenziando l’espressione di Nicodemo, che, concentrato nell’ascolto, si sforza di comprendere. Il gesto di Gesù è rivolto verso l’alto, oltre la finestra, ad indicare, per così dire, l’elevatezza di ciò di cui si sta parlando.
V.P.