Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 24 marzo 2024
Dal Vangelo secondo Marco
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: “Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo”. Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: “Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!”. Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto”. Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù.
La Diocesi di Carpi legge il Vangelo
A cura di don Antonio Dotti, Direttore del Centro Missionario Diocesano
Lectio
Dal primo versetto è cominciato un conto alla rovescia dalla cena della pasqua ebraica. Questa scena dialoga con l’ultima cena: hanno in comune un pasto e parlano del corpo di Gesù. L’unzione di Betania è al centro (non solo letterario) di un incastro, col tentativo dei capi di catturarlo ed il tradimento di Giuda. Sembra che siano i capi a dirigere l’ora di Gesù ma, l’evangelista mostra ironia, è dal cap. 3 che cercano di arrestarlo (v.6), la festa della liberazione diventa un ostacolo al loro progetto. Facendo uno zoom sul vaso, una volta esaltato il suo valore la donna (che rimarrà senza nome ma non senza memoria, rappresenta la Chiesa di ogni tempo) versa interamente il contenuto sulla testa del Signore. È un incontro muto, tutto è detto tra un gesto fatto dall’una e accolto dall’altro.
Nel rapporto tra Lui e lei. Si tratta di uno spreco: è un dono, un gesto d’amore (ricorda l’offerta della vedova povera al tempio). Le reazioni vedono solo l’oggetto andato perso, anzi un’ingiustizia verso i poveri (i discepoli sono rimasti a Mc 10, 21 senza crescere). Non vedono la relazione, il gesto resta velato ai loro occhi (senza un senso, una direzione), come pure il destinatario. Gesù interviene e prende la parola in sua difesa: è un’opera bella, i poveri infatti li avete sempre con voi, si tratta di un’unzione funebre anticipata (introduce il motivo delle donne che andranno al sepolcro il giorno dopo la morte). Il fatto della donna era rimasto senza una parola che lo interpretasse, per la parola di Gesù bisognerà ora aspettare invece un fatto che dia senso a queste Sue parole ma intanto capiamo che il progetto degli avversari si realizzerà però Gesù ne è consapevole. Giuda si allontana ed ecco un nuovo riferimento al denaro, ora legato alla persona di Gesù: il destino del Signore sarà simile a quello del profumo: un dono d’amore.
Meditatio
“Egli, consegnandosi volontariamente alla passione, prese il pane, rese grazie” (preghiera eucaristica II). La Sua morte non fu un incidente di percorso ma un dono d’amore per noi (se non ci fosse stata libertà non sarebbe stato amore): io quanto sono libero e libero per amare? Mi lascio liberare dalla relazione col Signore? Dove, in cosa o in chi cerco la mia libertà? Gesù parla del Suo corpo, ma lei ha unto solo il capo: Gesù è il Re messia (lo sappiamo in realtà fin dall’inizio del racconto, Mc 1,1) scelto da Dio. Gesù sulla croce verrà dichiarato tale in modo ironico (titolo della condanna). Gesù è il Signore della mia vita e della (mia) storia?
L’annuncio del Vangelo di Gesù, il Cristo porterà per sempre anche il ricordo del gesto della donna: credo ad una Chiesa che si affida ai segni del potere o a quella che si affida al potere dei segni? Credo alla possibilità delle donne di partecipare pienamente all’annuncio del Vangelo nella Chiesa?
“Se si dessero tutte le ricchezze in cambio dell’amore non se ne avrebbe che disprezzo”. Il brano riecheggia il Cantico per il profumo del Nardo (1,12) ma soprattutto per il tema della logica dell’amore (8,6-7). Gesù è lo sposo della Chiesa. Lo sposo ora è tolto (cf. Mc 2,19), il Cristo è un re che va a morire per il Suo popolo: l’amore non ha prezzo, non si può comprare, è gratuito e non accetta compromessi con una logica mercantile, se no si spegne. Possiamo verificare se stiamo camminando nell’amore al nostro sposo e re dal posto che diamo nelle nostre mense ai poveri.
Oratio
“Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio” (San Bernardino da Siena, sermone LIX del «Quaresimale sul Vangelo eterno», dedicato alle stimmate di san Francesco).
Contemplatio
“E i poveri? Che dire dei poveri? I cosiddetti discepoli sono qui fuori strada e in realtà non si preoccupano dei poveri. Se ne preoccupa il «vero discepolo» che è la donna, perché i cosiddetti discepoli oppongono erroneamente il servizio reso ai poveri all’adesione personale a Gesù che sta per morire, quasi si dovesse scegliere tra le due opere. Si tratta di un rischio in cui noi spesso incorriamo: dare ai poveri o onorare Gesù raccogliendo la sua morte e risurrezione? Non comprendiamo che è l’accettazione di quella morte, come gesto supremo d’amore per noi, che abilita poi il discepolo a mettersi incondizionatamente al servizio dei poveri. Come quei discepoli, anche noi vediamo la soluzione del problema dei poveri nel denaro, in una efficienza, e non nella dedizione per amore, da cui nascerà il servizio ai poveri. Gesù difende e loda la donna, così come ha difeso Maria dalle insinuazioni di Marta che accusava la sorella di perdere tempo ascoltando la Parola e di non servire. L’aiuto reso ai poveri sarà sempre una delle caratteristiche della comunità che ha scelto di seguire Gesù, il Signore crocifisso e risorto, e quindi ha scelto di non arricchire, di vivere la beatitudine della povertà, la beatitudine della semplicità di cuore e, proprio per questo, avrà sempre familiarità con i poveri”. (Card. Martini)
L’opera d’arte
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Cena in casa di Simone il fariseo (1550-54 ca.), Brescia, chiesa di Santa Maria in Calchera. La tela dipinta dal grande maestro bresciano del ‘500, si riferisce non al brano della “unzione di Betania” narrata da Marco, ma ad un episodio diverso del Vangelo di Luca (Lc 7,36-50), che può presentare, dal punto di vista iconografico, alcune analogie. La scena qui a fianco si colloca, con un’inquadratura ravvicinata, intorno ad una tavola dove sono seduti Gesù e Simone il fariseo, mentre un servitore, a sinistra, reca una cesta di frutta.
Prostrata in primo piano, è la donna dai lunghi capelli – identificata dalla tradizione erroneamente con Maria Maddalena – che unge i piedi del Maestro con olio profumato. Il gesto di Gesù che allarga le braccia unisce le tre figure protagoniste del racconto, di cui un uso sapiente della luce evidenzia i volti e che appaiono solenni e monumentali. Grande cura è posta nella raffigurazione del pane spezzato, del calice di vino e del pesce sul tavolo simboli eucaristici – e della frutta nel cesto. Brani di natura morta che si possono considerare un’anticipazione delle nature morte di Caravaggio.
V.P.