La vergognosa pubblicità di una marca di patatine, un insulto a Cristo e ai cristiani
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Mi scrive un amico: “Grazie don Bruno per la tua protesta, che hai pubblicato su Facebook contro lo spot blasfemo delle patatine. Come sai, l’azienda lo ha ritirato, con tanto di scuse. A protestare qualche volta funziona”. Purtroppo è vero al cinquanta per cento, o forse anche meno, perché a fronte del ritiro della pubblicità dalle televisioni, sui social, dove i giovani vanno ad abbeverarsi, continua imperterrita la sua corsa, portando a casa il bottino.
Per chi non lo sapesse, stiamo parlando della pubblicità di una nota casa che produce patatine fritte di cui riassumo brevemente lo spot. In un monastero, un gruppo di suore, silenziose e oranti, cammina verso la chiesa dove, di lì a poco, assisteranno alla Messa. Quando arriva il momento della comunione dalla bocca della prima religiosa, che si accosta per ricevere l’eucarestia, parte uno scrocchio. Il rumore è inconfondibile. L’immagine fa una zoomata sul calice. È colmo di patatine fritte al posto delle particole.
Si sa che gli spot, più che a decantare la qualità del prodotto, servono a far colpo perché la gente memorizzi il marchio, diventandone poi consumatrice. In passato non mi era mai capitato di indignarmi. Vuoi perché parlarne amplifica il “rumore” pubblicitario, vuoi perché ho sempre pensato che la gente è abbastanza scaltrita nel capire come orientarsi tra gli scaffali. Però stavolta ritengo si sia superato ogni limite. Siamo alla blasfemia, alla profanazione del più grande simbolo del cristianesimo. Né vale, in questo caso, far ricorso alla morale comparativa. Della serie: ci sono scandali più grossi. Sarà anche vero, ma non è che picchiare la moglie cessi d’essere un male, solo perché qualcuno la ammazza.
L’amministratore delegato dell’azienda e ideatore della campagna pubblicitaria, il signor Lorenzo Marini, ci fa sapere di essere cristiano, cattolico, e praticante. Mi chiedo fin dove si sarebbe spinto, in caso contrario, senza interrogarmi sulla sua coerenza di fede. Che poi lui stesso si fosse reso conto della gravità di ciò che stava mettendo in circolazione, lo prova il fatto che ha fatto girare lo spot in tre diverse versioni. Una per i social, quella ad uso dei più giovani, dove chiaramente si vede il calice pieno di patatine, le altre, destinate a Rai e Mediaset, tarate sulle possibili censure televisive, dove non si vede il calice, ma si sente solo lo scrocchio in bocca e una suora con il pacco di Amica Chips in mano.
Penso a questo spot mentre le comunità cristiane stanno mettendo in campo le migliori energie per preparare i bambini alla Prima Comunione. Un sacramento che sta lì a ricordarci il più grande messaggio per l’umanità, quello di un uomo che, per amore, ha dato se stesso per essere mangiato giorno dopo giorno. Un messaggio non da poco, dentro una società malata di solitudine e individualismo. Perdonare è d’obbligo, ma tacere è omertà. Ai bambini varrà la pena spiegare la gravità di questo messaggio blasfemo, invitandoli a rifiutare di consumare quel prodotto, su cui luccica lo sputo sul Cristo. Pacatamente, ma con fermezza. Schierarsi dalla parte del Risorto non è solo questione di fede. È anche il coraggio della propria identità e appartenenza, prima che l’anima del commercio ci trasformi in tanti piccoli Giuda.