Il
In cammino con la Parola
Pubblicato il Novembre 20, 2024

Il Signore regna, si riveste di splendore

La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 24 novembre 2024

 

 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

A cura di don Riccardo Paltrinieri, Vicario episcopale per la carità e le fragilità

Lectio

Pilato non aveva nessuna intenzione di interrogare Gesù. Riteneva che il caso non fosse di sua giurisdizione. A giudicarlo dovevano essere i giudei, sulla base della loro legge (18,31). Questo sarebbe stato il modo giusto, secondo le leggi dell’impero. Ma non era nell’interesse dei giudei rispettare criteri di giustizia. La loro intenzione era una sola: trovare il modo per mettere a morte Gesù. E siccome non erano nelle condizioni di farlo, si devono rivolgere a Pilato. Lo presentano a lui come un malfattore (18,30), come uno che merita una sentenza di morte. Ben presto si deve accorgere che non c’è niente di illecito da punire o una giustizia da ristabilire. Lui, prefetto della Giudea, per placare un’isteria popolare, dovrà emanare un’ingiusta condanna, fondata sulla menzogna (18,40). Tra le legittime procedure del sistema politico del tempo, si fa strada uno stile di corruzione, mascherato da giustizia e verità, ma che giustizia e verità non è.

È probabile che Gesù senta ciò che Pilato e i giudei si dicono; anche perché, considerando il contesto, le parole che Gesù scambia con Pilato non paiono casuali, ma ben mirate. Succede, infatti, una cosa imprevista: l’interrogatorio che il prefetto romano doveva fare per accertare la colpevolezza del sedicente re si trasforma in un confronto, dove il ruolo tra chi interroga e chi è interrogato sembra confondersi. Infatti, Pilato comincia con una domanda («Sei tu il re dei Giudei?»), a cui Gesù risponde con un’altra domanda («Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?), che porta lo stesso Pilato a fare altre domande e precisazioni. Così lo sviluppo del dialogo fa uscire progressivamente il centro e la paradossalità della questione: come è possibile che Gesù sia re di un popolo, che lo vuole crocifiggere? Di quale regno e regalità sta parlando?

Così, nel pretorio avviene un incontro non solo tra due persone, Gesù e Pilato, ma anche tra due regni e due modi di regnare. Da una parte Pilato e il suo regno di origine terrena, che segue le volontà umane, e che pur di salvare sé stesso è disposto ad assumere logiche violente di complicità e ingiustizia, fino a sacrificare la verità. Dall’altra parte Gesù e il suo regno di origine celeste, che segue la volontà del Padre, e che pur di salvare gli altri è disposto a testimoniare l’amore e la verità, fino a sacrificare sé stesso.

Ma l’ultima frase è il punto cardine del dialogo: il regno di Gesù, sebbene non sia di questo mondo, è venuto nel mondo (18,37). Non è lontano, distante dal regno di Pilato, anzi è proprio lì, davanti a lui, consegnato nelle sue mani. Pilato lo può conoscere e accogliere; potrebbe cambiare il suo modo di regnare, se soltanto ascoltasse la voce di Gesù, invece che quella dei giudei. Tuttavia, sebbene riconosca l’innocenza di colui che ha davanti, non riesce a sottrarsi alle logiche di potere di questo mondo. Alla fine, Pilato sceglie l’ingiustizia e la falsità, piuttosto che la giustizia e la verità. E a Gesù non resta che un’unica soluzione, come già gli aveva detto il Padre: perseverare fino alla morte in croce, per portare la verità del regno di Dio, dove regna la sua più assoluta essenza.

Meditatio

Il regno di Dio è venuto nel mondo. Il suo Verbo si è fatto carne. Ciò significa che anche a noi possiamo incontrarlo, ascoltarlo, conoscerlo, accoglierlo e seguirlo. Non per forza dobbiamo assecondare quelle logiche del mondo che rovinano la nostra vita e la nostra società. Il Figlio di Dio ogni giorno si consegna nelle nostre mani attraverso il pane eucaristico, per renderci fecondi testimoni del suo regno, che è un regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace (Pref. della festa di Cristo Re).

Contemplatio

Meditando su questo Vangelo mi viene in mente la testimonianza di San Francesco e la preghiera attribuita a lui, molto conosciuta, che possiamo fare nostra: Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’Unione, dov’è dubbio fa’ ch’io porti la fede, dove è l’errore, ch’io porti la verità, dove è la disperazione, ch’io porti la speranza. Dove è tristezza, ch’io porti la gioia, dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.

Fractio

«Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo» (18,37). Lasciamo che queste parole alimentino la nostra preghiera: Vieni Signore Gesù!

L’opera d’arte

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Ecce Homo (1605 circa), Genova, Musei di Strada Nuova. Una regalità che “non è di questo mondo”. La evoca l’opera qui a fianco dipinta da Caravaggio – anche se l’attribuzione non è accettata unanimemente – e ispirata al brano del Vangelo di Giovanni in cui Gesù, dopo essere stato flagellato, viene presentato da Ponzio Pilato al popolo. Tre i personaggi raffigurati. Sulla destra vediamo appunto Pilato: vestito come un magistrato dell’epoca di Caravaggio, indica il prigioniero, rivolgendo lo sguardo cinico e accigliato all’osservatore.

Dietro Pilato, un servo o un carceriere, anch’egli abbigliato come un contemporaneo del pittore e dalla marcata fisionomia, sembra togliere premurosamente il mantello dalle spalle del prigioniero, in realtà è più probabile che glielo stia rimettendo per poi condurlo via. Se queste due figure sono nell’ombra – la veste di Pilato è nera, rafforzandone il ruolo negativo nella scena -, il corpo di Cristo è invece “rivelato”, secondo una modalità tipica di Caravaggio, dalla luce: con gli occhi abbassati, egli è l’agnello di Dio che accetta il proprio sacrificio, il “re” venuto nel mondo “per dare testimonianza alla verità”.

V.P.

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