Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi
Vangelo di domenica 22 dicembre 2024
Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
A cura di Rosalba Manes consacrata dell’Ordo Virginum e biblista
L’abbraccio delle gestanti: tra gioia e profezia
Nella scena della Visitazione, Luca ci presenta l’incontro gioioso tra due donne gestanti: Maria ed Elisabetta, sua parente. L’evangelista celebra il tripudio della maternità, una maternità che non si presenta come pretesa o diritto della donna e nemmeno come dovere o debito da pagare alla storia, ma che appare come dono gratuito, deliziosa manifestazione della volontà del Dio amante della vita. Il segno che per mezzo dell’angelo Dio ha promesso a Maria, a garanzia della realizzazione di una maternità inedita e del tutto impossibile secondo la logica umana, trova qui la sua conferma: sul grembo gravido di Elisabetta c’è la firma di Dio!
Dopo la sua personale pentecoste segnata dalla sovrabbondante effusione dello Spirito Santo che ha permesso il miracolo del germogliare in lei della carne del Figlio di Dio, Maria non si nasconde, non si chiude nel privilegio di essere stata eletta madre del Figlio di Dio e Messia di Israele. Dopo che la vita divina è stata trasfusa in lei con una tale potenza da soppiantare gli antichi luoghi della divina presenza come la tenda del convegno e l’arca dell’alleanza, Maria si alza.
Il testo greco ci presenta il verbo anistemi, “alzarsi”, o persino “risorgere”, come nei testi che rimandano alla risurrezione di Cristo. Ciò vuol dire che questa giovane figlia di Israele, che vive nella periferia dell’impero e che a causa della sua condizione di donna è figura marginale nella società, assume con estrema autorevolezza la sua missione, come tutti gli e le donne che nella storia sacra hanno ricevuto l’incarico di avviare processi di liberazione, di conversione, di consolazione. Maria si appresta all’esodo a testimonianza che il dono ricevuto non è un “tesoro geloso”, ma un patrimonio universale da mettere in circolo nella storia, da trasmettere ai posteri. Lo fa con la responsabilità di una regina (poiché madre del re il cui regno “non avrà mai fine”) e con la dedizione appassionata della “serva del Signore”, della discepola che accetta di essere la collaboratrice più stretta di Dio nel progetto della nuova alleanza. Maria lascia Nazaret e si dirige verso la regione montuosa, per raggiungere la quale deve salire, metafora del viaggio umano verso Dio. Dio era sceso per incontrarla, ora lei, gravida della carne divina, sale per inconuomini trare la storia ed impregnarla della forza del suo sì libero e contagioso.
Giunta da Elisabetta, Maria compie il gesto più consueto di ogni incontro: saluta. Questo saluto però ha un effetto speciale: scatena la gioia del bimbo che l’anziana da sempre sterile porta miracolosamente in grembo e provoca un’effusione di Spirito Santo nella madre. Attraverso sua madre, infatti, il piccolo “profeta dell’Altissimo” chiamato a preparare la via al Signore, a ricondurre i ribelli alla giustizia e a ritessere trame amichevoli tra le generazioni, riconosce nel grembo di Maria la presenza del Messia e lo Spirito impregna la grammatica di Elisabetta con parole di benedizione: benedetta è la madre e benedetto è il bambino che porta in grembo. Lo Spirito inoltre concede a Elisabetta occhi nuovi e profetici, capaci di vedere oltre il grembo gravido di Maria la presenza del Signore: “a che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”. Elisabetta si meraviglia di una visita simile e si riconosce testimone privilegiata di un passaggio di Dio nella storia del tutto inedito. Riconosce la Causa a partire dall’effetto. Quella gioia profonda che ha scosso il suo piccolo nel grembo e lo ha fatto trasalire contagiando anche lei non è frutto di un’opera umana ma della visita di Dio. Dio si è reso accessibile all’essere umano e lo ha fatto per mezzo di una donna che può definirsi “beata” perché la sua fecondità viene dall’ascolto della divina Voce che sola fa germogliare nel cuore umano una passione inossidabile per il Dio dell’impossibile.
Nell’anno (2024-2025) in cui si celebra il centenario della nascita di don Oreste Benzi – il programma degli eventi è iniziato nel settembre scorso a Rimini – in questo periodo di Avvento il commento al Vangelo della domenica su Notizie sarà accompagnato dalle riflessioni del fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. I testi sono tratti da “Pane Quotidiano” il messalino con il Vangelo e la Parola di Dio del giorno commentati da don Oreste Benzi. Info: https://shop.apg23.org/abbonamenti/16-messalino-pane-quotidiano.html
«Beata colei che ha creduto all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Maria è beata perché è liberamente e consapevolmente nel progetto di Dio, infatti aveva detto all’angelo: «Ecco, sono la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola». Tu dici: «Io voglio essere me stesso; sono libero». Ma che cos’è questo «te stesso»? Nel profondo del tuo essere tu desideri essere verità, ma del tutto, tu vuoi essere amore del tutto. Potrei continuare a lungo, ma posso riassumere tutti i tuoi desideri in uno: vorresti essere tutto bene senza alcun male e vorresti vedere Dio. Hai la capacità di fare l’opposto di ciò che desideri, ma senti che non è la tua vita. Il tuo vero io è l’altro, il positivo. Allora quando fai il male sei volutamente schiavo! Non c’è scampo. La tua libertà è decisione-adesione totale a Dio, al bene. Maria, essendo la piena di grazia, è la pienezza della libertà. Lavora interiormente per convertirti al tuo vero essere te stesso, che è quello che Dio ha pensato per te. L’obbedienza è la garanzia della tua libertà e ti toglie dalla solitudine.
Don Oreste Benzi – (Tratto da “Pane Quotidiano, Sempre Editore”)
L’opera d’arte
Maestro Heinrich di Costanza, Visitazione (1310-20), New York, Metropolitan Museum of Art. Questo piccolo gruppo scultoreo di due elementi congiunti in legno dorato era originariamente collocato nel convento domenicano di Katharinenthal in Svizzera. Maria e Elisabetta appaiono come figure slanciate, elegantemente vestite, secondo il raffinato stile gotico dell’artista. La Vergine, sulla sinistra, è una giovane dai capelli sciolti, sotto il velo, così come era usanza delle ragazze nubili all’epoca dell’artista: posa la mano sulla spalla di Elisabetta, a destra, con il capo coperto da un velo legato ad una fascia sotto il mento, tipico delle donne sposate. Quest’ultima, al tocco di Maria, alza il braccio sul petto come esclamando la celebre frase: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” (Lc 1,43). Fulcro dell’opera è la stretta di mano delle due figure, che all’altezza del ventre presentano ciascuna una cavità ovale di cristallo trasparente dove in origine erano
visibili le immagini dipinte dei piccoli Gesù e Giovanni Battista. L’atmosfera di intima confidenza, che l’artista è riuscito ad imprimere all’opera, restituisce in maniera poetica e coinvolgente l’episodio evangelico.
V.P.