Ma siamo proprio sicuri che dietro a tanto male operi un certo diavolo?
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
In una intervista rilasciata ad Avvenire, ad una domanda del giornalista sulla realtà del male, un noto e prolifico divulgatore benedettino rispondeva con queste testuali parole: “La Bibbia parla del diavolo come del padre di ogni male. Nella teologia cattolica, il diavolo non è una persona, ma un’immagine della dimensione profonda del male”. All’inizio della Quaresima, tempo nel quale ci viene presentata la vita di Gesù messa alla prova dal fascino del diavolo, che lo voleva distogliere dal realizzare la volontà del Padre, la domanda potrebbe sembrare più provocatoria che interessante: ma il diavolo esiste davvero? In realtà questo tema oggi sembra interessare ben poco al più della popolazione e chi ne parla è portato a dare interpretazioni compatibili con le scienze moderne. Tra tutte spicca quella psicologica. Il male altro non sarebbe che la somma delle nostre fragilità. Eterno, perché fintanto che esisteranno le creature umane esse saranno impastate di limite, ma anche curabile dai vari esperti delle patologie umane, senza bisogno di scomodare Dio. Se così fosse, dovremmo convenire con il noto teologo secondo il quale la colpa in realtà non è altro che il nostro destino.
Per altri il male si identificherebbe semplicemente con la libertà umana. È vero che per fare il male bisogna volerlo fare, ma basta questo per spiegare il buio nel quale siamo immersi? È arcinoto il passo biblico in cui si racconta di Adamo ed Eva ai quali fu chiesto di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Dove il mangiare voleva dire decidere che cosa è bene e che cosa è male, senza bisogno di un Dio che disponesse della loro vita. Un peccato di autonomia, oggi largamente praticato. Ma se dietro a questa scelta non ci fosse l’azione di un seduttore, cioè il diavolo, questo vorrebbe dire che anche il male risente dei condizionamenti culturali. Cinquant’anni fa abortire era considerato reato, oggi viene reclamato come diritto da inserire nel-le Costituzioni. Basta solo mettersi d’accordo su cosa è bene e su cosa è male. Inoltre, se volessimo, identificarlo con i fenomeni storici che lo esprimono, il rischio è quello dell’assuefazione, quella che Hanna Arendt chiamava la banalizzazione del male. Quanti comportamenti negativi vengono oggi sdoganati come segno di modernità, sapendo benissimo i danni che operano all’interno della società, a cominciare dalle nuove generazioni, condannate a crescere dentro la terra dei fuochi del disagio sociale?
Oggi non va di moda parlare del diavolo perché il parlarne sarebbe analogo al professare una fede che va oltre i limiti di un laicismo che non consente debolezze di tipo teologico, anche se il Vangelo non consente interpretazioni ambigue quando parla della sorgente del male. “Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è giunto a voi il Regno di Dio” (Mt. 12, 28), sono le parole di Gesù con cui afferma la sconfitta del regno di Satana. E, soprattutto, è con la sua morte e risurrezione che egli lo vince e spezza definitivamente il dominio dello spirito maligno (Col. 2, 15, Ef. 1, 21, Ap. 12, 7-12). Per il resto, per approfondire, basterebbe consultare il Catechismo della Chiesa Cattolica che, su questo tema, ha una abbondantissima produzione di testi.