Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato
Commento al Vangelo di domenica 4 maggio
Dal Vangelo secondo Giovanni
Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare? ». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». (…) Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». (…) Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Tu sai che ti voglio bene
a cura di Rosalba Manes consacrata ordo virginum e biblista
Nel Vangelo della III domenica di Pasqua, Giovanni ci presenta l’agire esemplare di un Dio che, dopo essere stato rinnegato e abbandonato nell’ora della prova, dà nuovamente fiducia all’uomo. Il Risorto continua a istruire i suoi e mostra che solo la terapia della fiducia libera dal senso di colpa, fa fiorire nell’uomo nuove possibilità di partecipazione alla storia e fa tendere a nuovi traguardi. Siamo dinanzi alla stupenda pagina dell’incontro tra Cristo Risorto e Pietro sul lago di Tiberiade. Pietro è uno dei discepoli più intimi di Gesù, un uomo disposto a vivere una relazione di speciale vicinanza con il suo Maestro del quale ha fiducia e dal quale, pertanto, si lascia coltivare. Nel momento della prova però quel legame che prima era motivo di gioia diviene un fardello insopportabile. Pietro ne sente tutta la portata e si sente schiacciato. Assomiglia all’uomo della nostra società liquida che vive legami così allentati da poterli sciogliere con estrema facilità. Al momento della cattura, infatti, Pietro prova a stare accanto a Gesù ma poi, per paura di essere troppo coinvolto, rompe la sua alleanza col Maestro negando per tre volte di conoscerlo.
Dopo il dramma della morte di Gesù, i discepoli sono ancora insieme ma sembra che sperimentino una sorta di regresso alla vita prima dell’incontro con Gesù. Pietro torna a pescare e gli altri lo seguono. Pescano ma, come era accaduto poco prima della loro chiamata in Lc 5, non prendono nulla. È come se da soli non ne fossero capaci. All’alba però qualcuno li invita a fare un passo nella fede e le reti si riempiono di pesci. Dal nulla all’abbondanza, passaggio che solo il tocco divino rende possibile. L’abbondanza non è un valore qualunque ma è l’orma di Dio nella storia umana. Ora solo chi ama sa riconoscere i passi dell’amato. Così il discepolo amato. È lui a rivelare a Pietro l’identità di colui che li ha incoraggiati a pescare: «È il Signore!». Pietro si getta in mare, quasi riconoscendosi colpevole della pesca infruttuosa. Poi torna a vivere quando Gesù, dopo aver acceso il fuoco, chiede del pesce per arrostirlo e mangiarlo insieme. Dopo il pasto Gesù rivolge a Pietro una richiesta d’amore: «Mi ami più di costoro?», perché la carenza che ha paralizzato la fiducia possa essere convertita in eccedenza. L’avaro, infatti, guarisce solo quando è in grado di superare la propria piccola misura di dono. La richiesta poi si fa triplice e provoca una risposta d’amore che è accompagnata da una consegna: convertirsi da pescatore in pastore per pascere il gregge del Risorto.
Nel brano appaiono tre verbi importanti: mangiare come espressione di comunione e amicizia; amare in una triplice richiesta d’amore che realizza una sorta di terapia di guarigione dalle ferite del rinnegamento; pascere come impegno a prendersi cura del gregge sull’esempio del Bel Pastore che dà la vita per esso. La fiducia di Gesù si traduce in uno sguardo che vede già in Pietro il frutto di un seme che deve ancora germogliare. Gesù vede in Pietro un pastore, un padre per i suoi figli, mentre egli deve ancora maturare. Questo calore diventa incoraggiamento e slancio utile perché Pietro si consegni totalmente alla missione.
L’esperienza di Pietro ci insegna che rispondere alla chiamata è essenzialmente entrare in un rapporto di verità con se stessi e investirsi in relazioni di qualità che permettono di tirare fuori il meglio di se stessi, immettono in una ricerca continua del bene e non fanno sconti sulle responsabilità della vita. Pietro si era proclamato disposto a fare qualcosa per Gesù, ora scopre la forza di un legame fortemente generativo, scopre di voler bene a Gesù come al suo miglior amico, una conversione importante che segna l’inizio di una nuova sequela, quella martyria che lo porterà all’effusione del sangue per Gesù. Fare del bene all’altro senza volergli bene è sforzo sterile, dare la vita per l’altro scegliendo di amarlo, invece, è imitazione di Cristo che porta molto frutto.
L’opera d’arte
Pietro Perugino, Consegna delle chiavi a San Pietro, part. (1481-82), Vaticano, Cappella Sistina. “Pasci le mie pecore”: nel Vangelo di questa domenica, le parole di Gesù conferiscono a Pietro il compito di pastore universale del gregge di Cristo, quel primato promessogli quando il maestro gli aveva detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa… A te darò le chiavi del regno dei cieli” (Mt 16,18-19). Nella Cappella Sistina, questi ultimi versetti sono raffigurati nella quinta scena sulla parete nord, affrescata dal Perugino su incarico di Papa Sisto IV. La composizione si sviluppa su due registri. In primo piano Cristo consegna le chiavi d’oro e d’argento del regno dei cieli a Pietro, inginocchiato. Intorno, gli altri apostoli, fra cui Giovanni, in piedi, alle spalle dello stesso Pietro. Nel secondo registro, all’interno di una piazza, il pavimento suddiviso in ampi quadrati digrada prospetticamente verso un edificio monumentale a pianta centrale. Si tratta del Tempio di Gerusalemme, ricreato idealmente dal pittore secondo i criteri di classica perfezione del Rinascimento.
V.P.