A trent’anni dall’Evangelium Vitae: il mistero grande della vita
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
Dall’introduzione dell’enciclica si legge: “L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio… Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura.”
Alla luce di questo, la persona acquista un valore incomparabile. L’impostazione profondamente biblica dell’enciclica è la strada che conduce il lettore a riflettere sulla vita aiutandolo nel corso dello svolgimento di tutta l’opera. La prima e dominante idea dell’enciclica è quella del Vangelo della vita, non a caso ne dà il titolo: la vita dell’uomo è espressione della vita divina, questa è la bella notizia. Se l’uomo recide il legame con il Creatore, la sua vita appare debole, minacciata, precaria, dando così inizio a una vera e propria cultura di morte. Se, al contrario, l’uomo riconosce l’impronta di Dio nella propria vita, se riconosce che lo stesso figlio di Dio assume la debolezza e la precarietà della vita umana, allora, il vivere questa comunione diventa direttamente il testimoniare Cristo nella storia di quell’uomo o di quella donna. Dio opera nella vita dell’uomo, se l’uomo gli apre il cuore, quella vita diventa sacra e inviolabile.
Questa sacralità non è affatto un ignorare la dimensione biologica e animale dell’uomo, un assioma per fondare un imperativo morale razionalmente ingiustificato come tanti bioeticisti laici accusano, semplicemente la sacralità della vita riconosce un legame dell’uomo con un’istanza superiore, anzi con una persona, che di questa vita fa l’espressione della Sua immagine. Se il discorso sull’uomo e quello di Dio non rimangono indissolubilmente uniti, il Vangelo della vita si scioglie come neve al sole e la vita stessa rimane solamente un ingranaggio che funziona finché funziona. Se si riconosce questo legame nella vita umana, l’uomo non è più il padrone della vita ma solo un amministratore della propria esistenza. Il mistero della vita è certamente basilare per chi vuole trattare temi etici riguardanti l’uomo, la sua salute e la sua cura; fare bioetica laica non significa non riconoscere il legame con Dio ma significa ragionare con il cervello sul legame che Dio ha con l’uomo.