Votare o astenersi ai prossimi referendum è moralmente lo stesso?
In punta di spillo, una rubrica a cura di Bruno Fasani
Il prossimo 8 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari, quattro riguardanti il mondo del lavoro, promossi dalla Cgil, ed uno sulla cittadinanza agli stranieri, proposto da +Europa. Non entro nel merito dei singoli temi, lasciando alla politica il compito di convincere i cittadini in un senso o nell’altro. Qui vorrei invece cercare di fare chiarezza sulla polemica che si è sviluppata sul fatto che non tutte le forze politiche sono d’accordo sull’andare a votare. Se a favore si è schierata la Sinistra, capitanata da Landini il quale sa di giocarsi una partita importante per il suo futuro politico, per l’astensione si è invece pronunciato il Centrodestra. Lo stesso ha fatto il M5S ma solo sul quesito della cittadinanza, mentre in disaccordo con qualche specifico referendum si sono espressi sia Renzi di Italia Viva che Calenda di Azione. Da queste diverse prese di posizione sta montando un dibattito, non senza toni aspri e polemici, sulla presunta moralità dell’astensione. Per farla breve, è moralmente lecito astenersi dall’andare a votare per i referendum o no?
Riporto qui di seguito i due articoli della Costituzione che ci possono aiutare a fare chiarezza nel merito. L’articolo 48 dice: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. L’articolo 75 afferma invece: “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Nasce da subito una prima domanda: perché due articoli distinti, l’uno riguardante le elezioni, l’altro riguardante i referendum? Si dirà, giustamente, che si tratta di due distinte realtà. Da qui però la seconda domanda: perché nel primo caso si parla di ‘dovere civico’, mentre nel secondo è previsto che si raggiunga la maggioranza dei votanti, perché il risultato sia valido? È a questo interrogativo che dobbiamo dare risposta.
Chi propone un referendum (che può essere una parte politica o una minoranza) sa che il compito più difficile che gli spetta, dopo aver messo in moto la macchina, è quello di convincere gli altri cittadini a condividere l’iniziativa. Ma, poiché i cittadini sono liberi, la Costituzione consente loro, non solo di votare contro, ma anche di esprimere il loro dissenso sull’iniziativa, astenendosi dall’andare alle urne. Ecco perché nel caso non si raggiunga il 50% più uno dei voti, si considera che la maggioranza degli italiani sia contraria alla proposta referendaria. Tutto questo, secondo la legge, è considerato un diritto legittimo del cittadino.
Diverso invece il discorso delle elezioni dove votare è dichiarato ‘dovere civico’ e dove comunque si accetta l’esito a prescindere dal numero dei votanti. Il dovere morale nasce dal fatto che noi viviamo in una democrazia rappresentativa, dove è solo il voto dei cittadini che rende possibile il formarsi degli organi di governo (in primis il Parlamento, ma anche le amministrazioni comunali o regionali…). Va da sé che l’astensione in questo caso sarebbe un colpo mortale alla stessa democrazia. Da qui l’obbligo morale e i due diversi scenari, entrambi previsti dalla Costituzione.