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Pubblicato il Luglio 9, 2025

81° dell’eccidio di Cibeno, la figura eroica di Antonio Manzi

81° dell’eccidio del Poligono di tiro di Cibeno: la figura eroica di Antonio Manzi, fra i 67 caduti, cattolico milanese, dottore commercialista, ufficiale degli alpini, comandante partigiano per il Partito d’Azione. Il ricordo della nipote Elena Antonia Magnini, che lo ebbe come padrino di battesimo

di Virginia Panzani

 

 

“Eroico”: è la parola che più si addice ad Antonio Manzi, cattolico milanese, dottore commercialista, ufficiale degli alpini, comandante partigiano per il Partito d’Azione, fucilato dalle SS naziste il 12 luglio 1944 al Poligono di tiro di Cibeno, insieme ad altri 66 detenuti politici del campo di Fossoli. Custode e divulgatrice della sua memoria è la nipote Elena Antonia Magnini, che lo ebbe come padrino di battesimo nel 1942 ed è socia fondatrice dell’Associazione dei Familiari dei Caduti del Cibeno. E’ dunque lei, che partecipò alla beatificazione di Odoardo Focherini il 15 giugno 2013 a Carpi, a raccontarci dello “zio Antonio” in vista dell’81° anniversario della strage, la cui commemorazione si terrà domenica 13 luglio.

Signora Elena, leggendo la biografia di Antonio Manzi si coglie l’importanza fondamentale che ebbe per lui la formazione cristiana. Ci può dire in che modo suo Zio fu attivamente coinvolto nell’associazionismo cattolico?

Fu iscritto a tre associazioni cattoliche: l’Azione Cattolica, la Conferenza di San Vincenzo de Paoli e l’Associazione milanese Giovani Studenti Santo Stanislao, nata per favorire l’alpinismo tra i giovani. Si deve proprio alla Santo Stanislao, oltre che al padre Enrico, se in Antonio nacque e crebbe la passione per la montagna. A quattordici anni venne nominato dall’Associazione milanese dapprima viceeconomo poi economo della Casa Alpina Pio X di Biandino in Valsassina. Questa struttura, parte integrante della Santo Stanislao, era sorta nel 1907 per volontà di monsignor Testa che intendeva iniziare i giovani alla vita di montagna al fine di favorirne, attraverso la meditazione, l’elevazione morale. Antonio riuscì a combinare così competenze in campo economico, attitudini sportive e inclinazione religiosa. Divenne alpinista tanto esperto da essere contattato da Ardito Desio per la partecipazione alla scalata del K2, impresa che fu rinviata per lo scoppio della guerra. Pino Gallotti, uno dei componenti la spedizione del 1954, fu suo compagno di scalate e grande amico.

Per quanto riguarda l’adesione alla San Vincenzo, che nella nostra Diocesi ha una lunga e benemerita storia, che prosegue tuttora, come Antonio ha fatto propria la carità verso il prossimo più bisognoso? C’è qualche episodio esemplare al riguardo?

Antonio era un giovane che con entusiasmo aveva accolto l’invito di “andare ai poveri”, così che dopo la comunione domenicale era solito recare soccorso ai più deboli della città. Per testimoniare come avesse fatto propria la carità verso il prossimo più bisognoso cito le parole del padre Enrico nell’intervista fattagli dal giornalista Franco Redaelli («La Libertà») il 19 maggio 1945 nel momento del riconoscimento della salma del figlio: “Oh, dica che Antonio era buono, era un santo; buona parte dei suoi guadagni era per i poveri, visitava gli ospedali e non ha mai fatto che del bene”. In coerenza con i principi della sua fede vincenziana, avrebbe voluto affrontare anche il momento dell’ultimo passaggio nel modo più consapevole, prepararsi alla morte “con cuore libero e puro” come ci ha ricordato Gianfranco Maris, suo compagno di militanza e di prigionia che godette sia in carcere sia nel campo dell’assistenza di Antonio e della famiglia Manzi, in quanto impossibilitato a ricevere aiuti dalla propria.

In che modo la sua fede e il suo essere vincenziano hanno influito sulla scelta di aderire alla Resistenza?

Il suo essere “vincenziano” e l’adesione alla Resistenza, secondo me, sono indipendenti l’uno dall’altra, ma, se volessimo trovare un comune denominatore, lo potremmo riconoscere nell’altruismo, che ha caratterizzato tutta la sua vita. Il pensiero di mio zio era rivolto al futuro più che al passato. Egli si sentiva investito del compito di costruire un avvenire migliore per sé e per le nuove generazioni e di partecipare a quel destino comune che aveva colpito il Paese, senza sottrarsi a esso per preservare sé stesso. In una lettera scritta al padre Enrico il 28 marzo 1944 dal carcere di Sant’Agata egli non a caso affermava: “Per quello che riguarda il mio arresto, le sue cause e le sue conseguenze, non angosciarti: abbi fiducia! Non posso dirti di non pensarci, ma invece di guardarti attorno: quanti dolori ben maggiori ha portato questa guerra e gli avvenimenti che ne sono seguiti! Domandati quanti miei compagni del ’39 sono ora vivi e a casa loro! Non dico di consolarti pensando al peggio, perché potresti rispondermi che ci sarebbe da disperarsi nel confronto di tante situazioni fortunate, ma ricorda che per noi giovani questi sono tempi più difficili dei vostri!”.

Quando suo zio Antonio fu internato a Fossoli come entrò in contatto con la San Vincenzo carpigiana?

Non si sa se le due donne, Carmen Crespi e Tilde Lodi, che ebbero rapporti con lui per aiutarlo nei contatti con la famiglia a Milano e per procurargli così un’integrazione alla razione di cibo offerta dai gestori del campo, fossero della San Vincenzo, dell’Azione Cattolica o anche del tutto indipendenti dalle due associazioni. Di certo Antonio fu sostenuto da una rete di solidarietà locale che, in contatto con i familiari e finanziata da essi, si prestò a sostenerlo generosamente e a fargli pervenire i beni di conforto di cui aveva necessità. Per i miei nonni, data la lontananza dal campo e dato lo stato in cui versavano le ferrovie all’epoca, sarebbe stato impensabile organizzare altrimenti un invio frequente di provviste.

Sempre a Fossoli, suo Zio incontrò di nuovo Leopoldo Gasparotto, con cui condivideva la passione per l’alpinismo (inoltre erano entrambi Alpini). È verosimile che nel campo di Fossoli Antonio possa aver incontrato Odoardo Focherini, che a sua volta era, oltre che membro di Azione Cattolica, anche vincenziano?

Nel trasporto da San Vittore al campo di Fossoli Antonio incontrò di nuovo Leopoldo Gasparotto. Le cronache bergamasche dei primi momenti della Resistenza li ricordano insieme come organizzatori della Resistenza armata sui colli di Zambla. I due sul treno erano riusciti a scambiarsi informazioni riguardanti amici comuni, primo fra tutti il militante bergamasco azionista Franco Maj. Gasparotto a Fossoli fu internato nella baracca n.18, mio zio nella n.19. Le due strutture erano limitrofe e in stretta comunicazione, tanto che Antonio probabilmente partecipò al tentativo di evasione organizzato da Leopoldo. Una bussola e un bigliettino con l’indirizzo di un quadrarolo furono tra gli oggetti trovati sul corpo all’atto dell’esumazione. L’ipotesi è che Antonio, evaso, volesse dirigersi nuovamente a Sud. Circa Odoardo Focherini, internato a Fossoli il 5 luglio, può essere che si siano incontrati nei pochi giorni prima del 12 luglio, ma non c’è testimonianza.

Cosa sappiamo di suo Zio nel momento supremo del sacrificio della propria vita? «Antonio – scrisse l’amico Maris – mi pregò di fare il possibile per sapere quale sorte gli fosse stata riservata. Voleva saperlo perché mi disse di appartenere a una congregazione religiosa i cui fedeli avevano fatto voto di prepararsi alla morte, quando l’avessero saputa imminente […]. Antonio voleva prepararsi all’evento con pensieri d’amore […]”. Altre testimonianze ci dicono che egli faceva parte del secondo gruppo di fucilati al poligono di tiro di Cibeno, cioè di coloro che avevano tentato di ribellarsi agli assassini…

Degli ultimi suoi momenti di vita, oltre a quanto scrive Gianfranco Maris, so che Antonio ebbe un incontro con don Paolo Liggeri, come è testimoniato nella lettera di Virginia Bellezza, madre di Antonio, all’altra figlia, Angela, mia madre, datata 19 marzo 1946: “Spero poter vedere don Liggeri e sentire da lui qualche cosa sulle ultime ore di Antonio. È già una consolazione però sapere che ha potuto avvicinare il Sacerdote”. Non sappiamo in quale dei tre gruppi destinati al Poligono di tiro di Cibeno egli fu inserito. Per l’avvocato Enea Fergnani, amico di Antonio internato con lui nel campo e autore del libro “Un uomo e tre numeri”, mio zio avrebbe fatto parte del secondo gruppo; da quanto invece risulta dal verbale di esumazione sembrerebbe piuttosto che egli avesse fatto parte del terzo.

La parola “eroico” non è esagerata riguardo a suo Zio. Seppe resistere alle feroci torture senza rivelare nulla. È vero che, durante la prigionia, sarebbe stato disposto a dichiararsi colpevole dei “crimini” per cui era accusato dai fascisti in modo da alleviare la responsabilità dell’amico Franco Maj condannato a morte?

Mio zio da libero era giunto perfino a progettare un piano di fuga per i compagni incarcerati al Sant’Agata tra cui Franco Maj. Il 20 febbraio 1944, alla vigilia del progettato colpo di mano, Antonio si era trovato nella stazione di Lenna, sceso dal treno e in attesa di quello in partenza per Bergamo dove si sarebbe dovuto dirigere per incontrare Ferruccio Parri. Arrestato e venuto a conoscenza nel carcere di Sant’Agata della situazione critica dell’amico, il suo primo impulso era stato quello di autodenunciarsi, sottoscrivendo un memoriale con il quale si sarebbe dichiarato correo. Nell’articolo “Dialogo eroico attraverso il muro” del «Giornale Lombardo» a firma F.M. (11 luglio 1945) si legge la testimonianza della “gara di generosità” nella quale lui e Franco si impegnarono in un “dialogo eroico” svoltosi attraverso il muro. Testimonianza dell’altruismo di Antonio è anche nelle parole dell’ufficiale di Marina Italo Lagalante, prigioniero come lui nel carcere bergamasco: “A questo egli pensava, agli uomini su in montagna, che non avrebbero più potuto contare nemmeno su di lui”.

 

 

Tre medaglie al valore per “Vercesio”

Antonio Manzi nasce a Milano il 28 ottobre 1913. Allievo del San Carlo e dell’Istituto Cattaneo, si laurea alla Bocconi nel luglio 1936 in Scienze Economiche e Commerciali. Presta servizio militare tra gli Alpini e si iscrive con l’amico Franco Maj al Corso allievi ufficiali di complemento a Bassano. Nel giugno 1940 è sul fronte occidentale, poi opera nel Veneto conseguendo il grado di tenente. È insignito della Croce al Merito di guerra. Dopo l’armistizio si dirige verso Sud per andare incontro agli Alleati, ma non riesce. Il 17 settembre ‘43 entra in contatto con Ferruccio Parri a Milano e diviene per il PdA (Partito d’Azione) comandante partigiano della Val Brembana con il nome di “Vercesio”. Con l’arresto di Maj, è nominato comandante della piazza di Bergamo e il 20 febbraio 1944 è arrestato per delazione: sottoposto a torture, non parla. Prigioniero nel carcere bergamasco di Sant’Agata fino al 20 aprile, è trasferito al carcere milanese di San Vittore e il 27 a Fossoli. È tra i 67 Triangoli rossi assassinati nella strage del Cibeno. Insignito di tre Medaglie al valore alla Memoria: Medaglia di bronzo della Repubblica Italiana, Medaglia d’oro del Comune di Milano, Medaglia d’oro del Comune di Bergamo. Il 15 novembre 2024 è stata posata, a cura di Fondazione Fossoli e ANED Nazionale, la Pietra d’Inciampo a Milano in via Nirone 5, sua ultima residenza da uomo libero.

 

Carcere Sant’Agata di Bergamo, 2021: Elena Magnini nella cella dove fu recluso Antonio Manzi

 

Tomba di Antonio Manzi al Cimitero di Musocco (Milano) nel cosiddetto “Campo della Gloria”

 

Carpi, 15 giugno 2013, Beatificazione di Odoardo Focherini, alcuni dei familiari dei caduti del Campo di Fossoli e del Poligono di tiro di Cibeno. Da sinistra, Piergabriele figlio di Rino Molari, Carla figlia di Carlo Bianchi, Elena Magnini nipote di Antonio Manzi, Pierluigi figlio di Leopoldo Gasparotto

 

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