Anche
In punta di spillo
Pubblicato il Settembre 5, 2025

Anche l’arte ci insegna come evitare il fascino morboso del male

In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani

A Venezia, fin dal 1478, esiste la Scuola Grande di San Rocco, una confraternita di laici devoti al santo, nata dopo l’acquisizione di una sua reliquia. La Scuola, oltre a svolgere un’importante funzione caritativa, è diventata nel tempo un polo culturale di grande rilievo. Grazie alle generose donazioni dei fedeli, in particolare a seguito della fama miracolosa del quadro del Cristo portacroce, si è resa possibile la costruzione di una struttura monumentale. Per decorarla, fu chiamato il Tintoretto, che vi realizzò uno dei suoi più straordinari cicli pittorici, con episodi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento. Tra le opere più celebri vi è proprio il Cristo portacroce, attribuito da alcuni a Giorgione, da altri a Tiziano. Il dipinto mostra Gesù che, caricato della croce, cammina verso il Golgota. Un uomo gli si para davanti, con una corda in mano, afferrandolo per le vesti all’altezza del collo, quasi volesse soffocarlo. Il suo volto, demoniaco, mostra tutto il male che può annidarsi nell’animo umano. Gesù, invece, non lo guarda. Il suo sguardo è rivolto altrove, come assorto in una dimensione più alta, già oltre la scena. Un dettaglio che racchiude un messaggio potente: con il male non si può dialogare, neppure con lo sguardo. Anche lo sguardo, infatti, è una forma di comunicazione, e il male ha un fascino che può coinvolgere e trascinare nel suo gioco pericoloso.

Nel 1971 Stanley Kubrick girò Arancia Meccanica, film crudo e visionario, candidato a quattro Oscar. Intendeva essere una denuncia iperrealista della violenza emergente nella società. Tuttavia, anni dopo, lo stesso regista dichiarò che, col senno di poi, non l’avrebbe più girato. Anziché generare coscienza critica, il film divenne un modello per giovani criminali privi di scrupoli. Il messaggio si rovesciò: il male non era più rifiutato, ma, al contrario, ammirato.

Oggi, quella stessa attrazione verso il male sembra essersi moltiplicata. Il male fa audience, conquista, seduce, e si diffonde anche tra i più giovani. La cronaca quotidiana sembra partorita da film dell’orrore: aggressioni efferate, atti crudeli documentati con video e selfie. Un fenomeno parallelo è quello delle cosiddette challenge, vere e proprie sfide alla morte: giovani che si filmano mentre corrono sui tetti dei treni, camminano tra i binari, saltano da un palazzo all’altro, si gettano in strada sfidando le auto in corsa… Una roulette russa fatta per guadagnare visualizzazioni, con la vita ridotta a posta in gioco in una partita a briscola.

Dietro a questi comportamenti non c’è solo incoscienza. C’è soprattutto la perdita del senso del limite. Eppure, nel mondo greco, il limite era misura della qualità della vita. Come oggi esistono limiti di velocità o dosaggi farmacologici da non superare, anche l’etica imponeva confini a tutela della dignità umana. Quel senso del limite oggi è stato sostituito dalla rivendicazione assoluta della libertà, intesa come diritto a non avere limiti. Ma senza limite, la libertà si trasforma in distruzione. È qui che l’arte, la cultura e il pensiero possono ancora avere un ruolo decisivo: ricordarci ciò che abbiamo smesso di vedere.

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