Intervista a Peppe Millanta
Culturalmente, a cura di Francesco Natale
“Il pescatore di stelle” (ed. Rizzoli) di Peppe Millanta, protagonista di questo nuovo appuntamento di CulturalMente, è una fiaba onirica che parla al cuore e invita a sognare. Illustrata da Lavinia Fagiuoli la vicenda si sviluppa di notte e ha al centro il giovane Manuel e un pescatore.
La notte è lo sfondo del suo libro. Cosa c’è di magico nell’atmosfera notturna?
La notte, ne Il pescatore di stelle, non è solo uno sfondo ma la vera protagonista. La maggior parte della storia è infatti ambientata di notte, e questo non soltanto perché è il momento in cui le stelle sono visibili, ma soprattutto perché è quando i confini si allentano e le cerniere tra il visibile e l’invisibile si fanno sfumate. La notte è gravida di futuro, ci invita ad alzare lo sguardo, a cercare un orientamento non solo tra le stelle ma dentro di noi. Ha qualcosa di magico perché amplifica le domande, rende più vivi i sogni e ci spinge a immaginare possibilità nuove. È uno spazio sospeso, quasi fuori dal tempo, in cui il pescatore del titolo lancia la sua rete non nel mare, ma nell’infinito del cielo, alla ricerca di qualcosa che possa illuminare il cammino.
Lei si rivolge ai ragazzi parlando di sogni. La nuova generazione che rapporto ha con i desideri?
Credo che i ragazzi di oggi abbiano un rapporto molto intenso con i desideri, ma spesso faticano a riconoscerli e a coltivarli. Vivono immersi in un tempo rapido, in cui tutto è immediatamente accessibile e anche il desiderare rischia di essere prefabbricato e deciso a monte. Essere animali desideranti significa assumere la postura per conoscersi, fare esperienza di noi attraverso ciò che i desideri portano con sé. Ma l’esperienza vera l’abbiamo quando ci confrontiamo con qualcosa di distante da ciò che siamo. Oggi invece stiamo delegando il nostro desiderare ad algoritmi che via via ci consigliano quello che potrebbe piacerci. Il limite è che ci vengono proposte esperienze il più possibile simili a quelle che già conosciamo, mentre invece la crescita vera si ha quando ci cimentiamo con la distanza anziché con la prossimità. Per questo dovremmo aiutare i ragazzi a immaginare mondi alternativi, a trovare un proprio cammino autentico, senza cedere alla tentazione di sogni preconfezionati.
Cos’hanno in comune le stelle con i desideri?
Tanto. Anzi, tantissimo. Le stelle hanno sempre accompagnato e illuminato il cammino dell’uomo. Sono e continuano a essere un punto di riferimento non solo geografico ma anche e soprattutto esistenziale. Grandi viaggi e grandi esplorazioni si sono potute compiere grazie al loro stare lì, sospese nelle notti buie, a fare cenno ai viandanti e a rassicurarli sulla loro rotta. Lo stesso fanno i desideri, che da sempre guidano l’umanità attraverso un viaggio esistenziale. Le traiettorie del nostro esistere hanno come tappe i nostri desideri, e come traguardo la conoscenza di noi stessi. Possiamo conoscerci solo se seguiamo in maniera onesta il nostro desiderare, come fossero buone stelle poste sul nostro cammino.
Ha paura che un domani si smetta di sognare in grande?
Ho paura che già oggi si sia smesso di sognare in grande. Veniamo da un secolo attraversato, nel bene e nel male, da grandi slanci, sogni collettivi, piccole e grandi utopie. Oggi invece l’esercizio del desiderare sembra molto più difficile, perché abbiamo iniziato a confondere il desiderio con la performance: se non raggiungo l’obiettivo, vivo la frustrazione di un fallimento. In realtà ciò che ci porta in dono un desiderio non è il suo realizzarsi ma l’esperienza dell’esserci dedicati ad esso. Per la paura di fallire abbiamo iniziato a desiderare sempre meno, con sempre maggiore timidezza, sempre minore intensità. Ma una società composta da individui non allenati al costante esercizio del desiderio è una società costretta ad accontentarsi di quello che c’è, a subire un presente anche quando appare pallido o non all’altezza. Una società incapace di crearsi alternative.