La coscienza parte I
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
Come in teologia morale, anche in bioetica, in modo particolare quella personalista, è importante conoscere che cosa si intenda con il termine coscienza. Con questi due articoli vorrei offrire piccoli spunti per invogliare ad approfondire. Per definire il termine coscienza possiamo aprire la Sacra Scrittura in Atti 24,14-16 dove si legge: Paolo rispose: «… Ammetto invece che adoro il Dio dei miei padri,… Per questo mi sforzo di conservare in ogni momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini». La coscienza, la possiamo identificare in due modi: come arbitro o come arbitrio. Come arbitro è da intendersi al modo di luogo di giudizio, discernimento sul bene e sul male dei nostri atti personali, richiama qualcosa indipendentemente dal nostro volere. Come l’arbitro così la coscienza “fischia”, risuona, fa prendere consapevolezza del buono o del cattivo che si sta compiendo o si sta per compiere. L’arbitro è nella partita ma non gioca la partita, è all’esterno ma partecipa. È un arbitro morale, diverso da noi e indipendente da noi anche se non completamente alieno da ciò che è il soggetto. La coscienza è voce che richiama e rimorde, è occhio che vede sempre ciò che fai, è giudice, è suggeritore etc… Coscienza come arbitro deriva dal latino cum scientia, sapere con, un sapere condiviso con altre persone; stessa derivazione greca, suneidesis o sinderesi, sapere comune con un altro oppure vedere, luce della coscienza etc. Quindi, la coscienza è un sapere non un volere, un’azione dell’intelletto, magari condiviso con altri. Come Arbitrio è da intendersi come volontà personale: “faccio secondo coscienza” che tante volte non è altro che “faccio ciò che voglio”. H. de Balzac scrive: “la coscienza, mio caro, è uno di quei bastoni che ciascuno brandisce per picchiare il suo vicino e del quale non si serve mai per sé stesso”. A noi oggi interessa la coscienza morale ovvero una conoscenza del bene e del male morale nell’uomo. Questa conoscenza può essere abituale, l’habitus, un modus vivendi derivato dalla nostra sensibilità a cogliere, attraverso la coscienza, il bene e il male ed agire di conseguenza. Percepisco cosa devo fare per fare il bene (sapere morale) e lo faccio (volontà). La volontà, infatti, per il fatto che è esercitata da un soggetto libero e non costretto, può aderire al bene, a ciò che è indicato dalla coscienza, o al suo contrario, al male.