Un’isola
In punta di spillo
Pubblicato il Settembre 26, 2025

Un’isola lontana dove si ha ancora speranza nel futuro

In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani

Lampedusa. Arrivi e ti aspetti di toccare con mano il dramma cui ci ha abituati la cronaca degli sbarchi di disperati. E invece nulla, se non fosse per quel continuo sorvolare di elicotteri e di motovedette di finanzieri e carabinieri che escono dal porto, per gestire il fenomeno con la discrezione che si usa in famiglia per lavare i panni con delicatezza. A voler proprio aprire gli occhi, per lasciarsi prendere dal groppo, basta fare il giro dell’isola e contare le barche sfracellate sugli spuntoni aguzzi degli scogli di materiale lavico. Per il resto, Croce Rossa e religiose, che dovremmo chiamare mamme più che madri, sbrigano le procedure di accoglienza con la naturalezza di una casa-famiglia, in modo così discreto che, di fatto, non te ne accorgi. La gente del luogo dice di non aver contezza di quanto accade intorno a loro, ma non è vero, perché il centro abitato è tappezzato di epigrafi, pagate dalle famiglie del luogo, per ricordare chi non ce l’ha fatta a raggiungere da vivo il sogno della libertà.

Lampedusa è a 220 km dalla Sicilia, da cui dipende amministrativamente, e a 100 dalla Tunisia. Venti chilometri quadrati di terreno lavico e calcareo, dove alla durezza del suolo fa da contraltare la bellezza delle sue acque dove Dio ha seminato dentro i colori del paradiso, forse sorpreso Lui stesso d’essere riuscito a creare quanto aveva creato. L’impressione, per chi viene dal Nord Italia, è quella di una terra dai ritmi rallentati e senza troppe regole. Sulle strade non esiste segnaletica orizzontale, tantomeno strisce pedonali, ed anche andare contromano sembra un peccato veniale di anime distratte. I problemi non mancano. A cominciare da quello sanitario. Lunga vita ai lampedusani, perché in caso di patologie gravi o improvvise, l’unica speranza di farcela è quella di poter usufruire dell’elicottero per arrivare a quello che da quelle parti chiamano il Nord, ossia Palermo. Sempre che non sia impegnato con qualche disperato arrivato con le barche. Ma, in quel caso, la filosofia è che una vita vale l’altra.

Anche l’istruzione conosce toni un po’ approssimativi, perché il corpo docente risente di una frequente mobilità, quasi sempre costituito da giovani neolaureati in cerca di punteggio, destinati a cercare destinazioni più vicine a casa il prima possibile. Su tutto, si respira l’impressione di una comunità riconciliata. È assente quel livore partigiano indotto dalla rissosità politica ed anche quello della cronaca, veicolato dai vari media. Cose di altri luoghi. Oltretutto i frequenti blackout dei collegamenti telefonici favoriscono di molto la disintossicazione dal cellulare. È assente anche la delinquenza, nelle sue varie espressioni, quella che si registra nel Continente e nel resto d’Europa. Grazie ai 1500 militari presenti sull’isola, precisa qualcuno. In realtà qui non si fanno multe o controlli, perché qui si conoscono tutti e il controllo sul territorio viene da sé. E poi scappare o nascondersi in un’isola di 20 Km2 sarebbe opera fantascientifica. C’è un senso di ottimismo che aleggia e, il dato, si racconta nel tasso di natalità delle signore del luogo. A fronte di 1,2 figli per donna nel Continente, qui si arriva al doppio. Un dato che fa pensare. Perché i figli si mettono al mondo quando si crede ancora nel futuro.

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