Preghiera parola disarmata. Pace in Ucraina, a Gaza e cessi ogni guerra
di Luigi Lamma
Purtroppo il termine più utilizzato in questi ultimi giorni non è dialogo ma escalation che per la Treccani vuol dire “condotta delle operazioni belliche caratterizzata da un aumento progressivo e graduale nell’impiego delle armi e nell’estensione delle misure militari”. Droni e aerei che violano i confini nei cieli d’Europa e si minacciano risposte, mentre a Gaza “si deve finire il lavoro” e la gente continua a morire. L’assemblea dell’ONU con gli interventi dei vari leader è stata lo specchio desolante di come si possano “armare le parole”, con qualche lodevole eccezione ma è stato un gioco ad innalzare i toni. In questo contesto spiace dirlo ma le barche della Flotilla non aiutano. Una condivisibile volontà di testimoniare vicinanza al popolo palestinese che va rispettata e sostenuta, ma vale sempre la regola che il “bene bisogna farlo bene”, senza secondi fini e senza esporre la vita delle persone a reazioni e repressioni violente seppur esecrabili.
Il pensiero esposto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei giorni scorsi, con l’invito a depositare gli aiuti a Cipro e lasciare che sia il Patriarcato di Gerusalemme a consegnarli a Gaza, ha raccolto il consenso della maggioranza degli italiani, non solo perché esprime una posizione di buon senso e di responsabilità, ma perché sta ad indicare che in questo momento una dimostrazione di forza impari complica un quadro dove già gli attori sul campo faticano ad operare (si pensi a ciò che resta della chiesa cattolica e all’impegno del Patriarca di Gerusalemme il card. Giambattista Pizzaballa). Le manifestazioni cosiddette “pro Pal” che sfociano sistematicamente in disordini e violenze sono forse un messaggio di pace credibile? C’è davvero tanto da disarmare nelle parole e nei gesti e fare in modo che l’unica escalation consentita sia quella del dialogo, dell’incontro tra le parti e del disarmo. Con questo spirito i Vescovi italiani hanno diffuso un messaggio, “Sia pace in Terra Santa”, da una città, Gorizia, crocevia di tre Stati nel cuore di un’Europa anch’essa ferita dall’assurda aggressione russa all’Ucraina.
Se ne parla all’interno (pag. 3) perché, questo documento, insieme alla lettera pastorale del vescovo Erio, ispira il senso della convocazione interdiocesana per la veglia di preghiera alla pace del prossimo 4 ottobre (Cattedrale di Carpi, ore 21), memoria di San Francesco d’Assisi, giorno che dal 2026 tornerà ad essere festa nazionale. Onorare San Francesco, compatrono d’Italia, con una festa dedicata, accolta e accettata da tutti, è una grande responsabilità, significa cogliere il suo anelito alla pace, a perseguire quell’ecologia integrale, che nulla ha a che vedere con certe etichette ambientaliste che gli sono state appiccicate, ma che ha trovato nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco la più lucida e attuale declinazione per aggiornare il magistero sociale della chiesa. Occorre ricomporre con pazienza e tenacia il “pentagono della pace”, i cui lati non vanno mai disgiunti: sdegnarci e alzare la voce; favorire il dialogo; pregare e intercedere; rimboccarci le maniche e aiutare; testimoniare e rimanere fedeli a Gesù. Questa è la nostra pace, disarmata e disarmante.