Carla
Chiesa, Il Settimanale
Pubblicato il Ottobre 2, 2025

Carla Baraldi, 79 anni e non sentirli

Il 3 ottobre la festa di compleanno. Il racconto della sua vocazione missionaria

La nostra missionaria in Benin, Carla Baraldi, rientrata in Italia a fine agosto per un periodo di riposo, festeggerà il suo settantanovesimo compleanno il prossimo venerdì 3 ottobre. Il Centro Missionario Diocesano di Carpi, insieme al neodirettore Francesco Panigadi, ai membri del Consiglio Missionario e a tutti i volontari, desiderano rivolgerle i più calorosi auguri. Siamo profondamente uniti a lei, specialmente in questo mese in cui celebreremo la Giornata Missionaria Mondiale 2025, che ci invita ad essere “Missionari di speranza tra le genti”. Carla è davvero una missionaria della speranza. Che il Signore la benedica e custodisca sempre. Buon compleanno, Carla! Di seguito, la prima parte dell’intervista rilasciata da Carla al direttore del Centro Missionario, Francesco Panigadi, durante un incontro tenutosi lo scorso 9 settembre a Carpi.

Sono Carlo Baraldi, nativa di Tramuschio, una piccola frazione di Mirandola. Sono nata nel 1944, era la fine della guerra e c’era anche là un po’ di povertà. A quei tempi i ricchi proprietari terrieri non lavoravano la terra, facevano venire la gente del ferrarese, li chiamavano i “bovari”. Passando per la campagna vedevo dei ragazzini come me o delle ragazzine che avevano la candela al naso, erano vestiti male poverini, forse non mangiavano neanche, tutto questo mi ha molto impressionato. Ho cominciato a chiedermi come mai potevano accadere queste cose. Io potevo avere non il benessere certo, ma almeno da mangiare il papà lo aveva! Lui ha cominciato a lavorare all’osteria con 5 franchi e poi ha fatto fortuna. In famiglia c’era la mamma, tre fratelli, mia sorella che era la più grande che era del ’37, io del ‘44, poi è arrivato il maschio nel ‘48. Si andava in chiesa, l’osteria era vicino alla chiesa, intorno c’era solo il campetto dove giocavamo a pallone. Si andava tutti in chiesa, il parroco era un vero “parroco di campagna”, sembrava il Curato d’Ars, era don Rebucci che suonava il piano e ci insegnava, era veramente bravo. Viveva con la mamma che era anche per noi una vera mamma! Queste due figure sono rimaste impresse nella mia mente. Dopo di lui, crescendo, un altro sacerdote che mi ha aiutato molto è stato don Giordano Rossetti che era una persona profonda, un uomo di preghiera, perché non ci si inventa mica le cose senza anche una vita di preghiera, lui mi ha aiutato tantissimo. Poi nell’adolescenza ho avuto una vera e propria “direzione spirituale” grazie ad un prete gesuita che mi ha dato molto. Sono stati questi i pilastri che mi hanno aiutato a capire le domande che avevo in testa, mi dicevo: “Ma noster Sgnor’, perché siamo al mondo?”. A quell’età non riuscivo a capire. “Insomma – mi dicevo andiamo a scuola, poi a casa abbiamo i genitori, ma che senso ha la nostra vita? Cosa dobbiamo fare qua? Dobbiamo morire così?”, Sono state queste due guide spirituali ad aiutarmi a capire, per me è stato molto importante.

Mi ricordo che avevo già sentito parlare delle missioni, e che quando vedevo quei bambini sporchi, mal vestiti, affamati che lavoravano nelle campagne, pensavo: “Io voglio andare in missione, voglio dedicarmi agli altri, non è giusto che io abbia la possibilità di avere il pane e quei bambini no!”. Capitava che, di nascosto, rubassi il pane a mio padre per portarlo a quei ragazzini e loro erano contenti, io lo ero un po’ meno, perché sapevo che non facevo bene, sapevo che avrei dovuto dirlo al papà, ma poi don Giordano diceva: “Na no, lascia perdere, non creiamo dei problemi!”. Ho dovuto aspettare prima di realizzare il mio desiderio di andare in missione. Mi ricordo che il mio primo pensiero è stato per l’Africa, non l’America Latina o altro, istintivamente l’Africa. Non potevo partire subito perché avevo mia sorella più grande che si è sposata giovane, quindi io ho dovuto aiutare molto il papà. Andavo a scuola e la sera stavo alzata fino a tardi per aiutarlo in osteria, perché la mamma non riusciva.

Prima di partire mi sono preparata. Ecco è molto importante prepararsi per la missione. Ogni tanto sento della gente che dice: “Mi sarebbe piaciuto andare in missione, potrei ma… , ma sì, farò qualcosa!”. No, non si va giù in missione a dire: qualcosa farò! Se una persona è ancora giovane deve piuttosto chiedersi di quale utilità può essere, in che cosa può essere utile, per le persone che incontrerà, per aiutarle a crescere. Il problema della missione è pensare che noi, perché siamo bianchi, siamo anche più bravi, anche se loro sono i primi a dirlo! Voi, dicono, ne avete sempre una nova, inventate! Ma è perché ci lavoriamo, studiamo come fare, invece loro si fermano alle parole, ma a chiacchierare si fa poco! La missione è mettersi a fianco di un fratello diverso per fare un cammino insieme.

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