Cammino
Attualità, Chiesa
Pubblicato il Ottobre 18, 2025

Cammino Sinodale. Verso la terza Assemblea

Mons. Bulgarelli: “La Chiesa decide insieme il proprio futuro”

ph Siciliani Gennari – Sir

Dopo quattro anni di ascolto, confronto e discernimento, il Cammino sinodale della Chiesa italiana giunge alla sua tappa decisiva. Il 25 ottobre, a Roma, si terrà la terza Assemblea sinodale, momento culminante di un processo avviato nel 2021 per ripensare il volto e la missione delle comunità cristiane nel tempo presente. All’assise, composta da vescovi, delegati diocesani, referenti regionali e membri del Comitato sinodale, sarà presentato e votato il Documento di sintesi con oltre cento proposte. Ne parla mons. Valentino Bulgarelli, segretario del Comitato nazionale del Cammino sinodale e sottosegretario della Cei.

Quale significato assume la terza Assemblea sinodale per la Chiesa italiana?

Questa tappa rappresenta il compimento di un processo lungo e articolato, durato quattro anni, che ha camminato di pari passo con il Sinodo dei vescovi su comunione, partecipazione e missione. Nel 2021, su sollecitazione di Papa Francesco e nel contesto post-pandemico che aveva profondamente inciso sulla partecipazione ecclesiale, i vescovi italiani hanno scelto di intraprendere un percorso di ascolto e discernimento. Il 25 ottobre segnerà la conclusione di questa fase, con l’obiettivo di raccogliere le proposte maturate lungo il Cammino.

In questi anni la parola “sinodo” è diventata familiare anche al popolo di Dio. È uno dei frutti principali del Cammino?

Il percorso sinodale è stato innanzitutto un’occasione per maturare una consapevolezza più profonda della natura stessa della Chiesa, che è per sua essenza “sinodale”: chiamata a camminare insieme, mai da sola, ma sempre con il Risorto che è vivo e presente. Non si tratta semplicemente di un metodo o di una strategia pastorale: La sinodalità è ciò che siamo, il modo con cui ci ascoltiamo, prendiamo decisioni, discerniamo il futuro, nella responsabilità condivisa dei vescovi, che custodiscono e accompagnano l’intero popolo di Dio.

Le prime due assemblee hanno affrontato temi importanti come la corresponsabilità dei battezzati, il ruolo delle donne, la riforma delle strutture ecclesiali. Qual è oggi lo sguardo della Chiesa italiana su questi punti?

Vorrei anzitutto sottolineare la bellezza del volto della Chiesa che è emerso da questo processo. Ho visto una partecipazione reale, un coinvolgimento diffuso almeno a livello diocesano e una forte preoccupazione pastorale: come annunciare il Vangelo in tempi complessi come i nostri? In questi cinquant’anni di post-Concilio è cresciuta la consapevolezza di cosa significhi essere Chiesa e molte delle proposte che troviamo nel testo finale sono figlie di esperienze, riflessioni, tentativi di dare attuazione al Concilio Vaticano II.

Quali aspetti del documento ritiene più significativi?

Ogni punto del testo apre porte interessanti, ma ciò che mi preme sottolineare è la necessità di leggerlo nella sua interezza, perché delinea la postura che la comunità cristiana è chiamata ad assumere oggi. Questo significa essere attenti a ogni passaggio della vita, assumere la formazione come dimensione imprescindibile e vivere la corresponsabilità come stile comune. Questi elementi non vanno considerati separatamente: si richiamano a vicenda e danno forma concreta a un’identità ecclesiale condivisa.

In questi anni non sono mancate discussioni, anche su temi delicati. Il Cammino sinodale è riuscito a mantenere un clima di confronto aperto e trasparente?

La trasparenza è stata sempre una priorità. Il momento più evidente è stato quello della seconda assemblea, quando i delegati non si sono riconosciuti in un testo e hanno chiesto di riprendere il lavoro. È stato un passaggio significativo, che ha confermato la volontà di creare spazi reali di confronto, anche su punti complessi. La partecipazione sinodale implica proprio questo: condividere fatiche, riconoscere nodi irrisolti e affidare poi al discernimento dei vescovi, nella prossima Assemblea generale, il compito di orientare il cammino delle Chiese in Italia.

È stato anche un modo per “risvegliare” la presenza pubblica della Chiesa, stimolando una partecipazione più incisiva nella società e nella cultura?

Assolutamente sì. Il Concilio Vaticano II ci ha consegnato l’intuizione di una Chiesa chiamata a evangelizzare un tempo nuovo, con sfide inedite. Questo percorso ha reso visibile una vera e propria ansia missionaria: il desiderio di portare la buona notizia del Vangelo a tutti. È un dinamismo che ho toccato con mano e che, ne sono certo, continuerà a maturare. Naturalmente un processo di questo tipo richiede tempo, approfondimento, studio. Ma credo che abbia già rappresentato un innesco prezioso per un rinnovato protagonismo ecclesiale.

Quale valore avrà il voto finale per il Cammino sinodale della Chiesa italiana?

Il voto rappresenta il momento in cui l’intero lavoro di questi quattro anni si traduce in un atto condiviso e collegiale. Non è un punto d’arrivo, ma un passaggio decisivo nel processo di discernimento ecclesiale, perché restituisce alle Chiese che sono in Italia l’esito di un confronto reale, fatto di ascolto e partecipazione. Attraverso il voto si esprime il consenso maturo delle comunità su un cammino da proseguire insieme: le proposte approvate non restano su carta, ma diventeranno la base per le scelte pastorali future, orientando il servizio dei vescovi e la vita delle diocesi nei prossimi anni. In questo senso, il voto non è soltanto una ratifica, ma il segno concreto di una Chiesa che decide insieme il proprio futuro.

Riccardo Benotti

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