Seconda
Chiesa, Il Settimanale
Pubblicato il Novembre 17, 2025

Seconda parte dell’intervista a Carla Baraldi, missionaria in Benin, sul tema dell’Anno Santo, la speranza

“Mettiamo sempre un po’ di cuore”

Carla, come ben sai, siamo nell’Anno Santo dedicato alla speranza. Che cosa puoi dirci sulla speranza in rapporto a ciò che sperimenti nella tua vita missionaria?

C’è tanto da fare a tutti i livelli e dobbiamo sperare e ancora sperare. Io vedo dei cambiamenti, ma sono ancora piccoli. Occorre anche che lo Stato faccia di più. L’assistente sociale dovrebbe essere di più nei villaggi, si dovrebbe puntare molto sulla scuola, le scuole di private tenute da suore o dai sacerdoti o religiosi hanno dei bravi professori, ma è importante che diano anche testimonianze! La speranza è certamente nella scuola. Anche la Chiesa ha bisogno di qualcosa di più, di volontari, di laici, che facciamo esperienze lunghe in missione, il laicato è una ricchezza. La speranza per me è di veder rifiorire anche un laicato che si impegni radicalmente. Anche la Chiesa dovrà cambiare, fare più affidamento sul diaconato permanente che, a parte i sacramenti, può fare tutto. Qui in Benin ci sono tante vocazioni, è giusto che rimangano qui che ce n’è tanto bisogno.

Quali sono gli aspetti più belli nella Chiesa in Benin, e più in generale nella spiritualità del popolo beninese?

La gente del Benin ha un senso di Dio molto profondo, di qualcuno che è più grande di te e che governa il mondo, di un “assoluto”. A volte dico: “Non mettetelo in tutte le pentole! Se Dio vuole, se Dio vorrà, se Dio…”. Non passa una un giorno senza che te lo dicano non so quante volte. Certo, lo so anch’io che “non si muove foglia che Dio non lo voglia”, d’accordo, ma dirlo in continuazione rischia di diventare una forma idolatria, come un fanatismo. Sappiamo che Dio è sempre presente, possiamo dire che il Signore è lì e può aiutarci, ma poi bisogna che ci diamo da fare! Tutti, i cristiani e gli animisti. Questi ultimi sentono Dio come un assoluto che è dappertutto, è nella natura. A me, in un certo senso, piace questo. La gente qui ha uno stile di vita che è dato dalla povertà, dalla mancanza di mezzi, ma nonostante questo si adattano a tutto. L’africano avrebbe bisogno di migliorare la propria casa, di averne una più decente, tutti i bambini dovrebbero poter andare a scuola e avere a sufficienza da mangiare. Ma la televisione, il telefonino… bisognerebbe che continuassero a non averli per essere felici. Le “mie” donne non è che non abbiano delle sofferenze, ne hanno tante, ma sono sempre contente alla sera. Quando soprattutto siamo in periodo di grande caldo, loro ballano e cantano e sono contente, ma chi è che fa così delle nostre donne? E’ un lato positivo della loro vita che io ho sempre ammirato.

Cosa significa dare speranza in quei luoghi, essere un missionario che dà speranza?

Intanto bisogna essere persone non tristi, secondo me, perché qualche volta mi dicono “Ma ascolta, chi te lo fa fare?” e io rispondo “sì, me lo chiedo anch’io chi me lo fa fare di essere qui, di ripetere sempre le stesse cose, di non stancarmi, ma se mi stanco poi ci sono i bimbi che mi risollevano! So che c’è qualcuno che mi ha aiutato ad arrivare qui, so che voglio bene ai bambini, so che se posso li aiuto e aiuto anche voi, perché siete dei fratelli e sorelle per me”. La speranza è anche sperare che loro cambino, in bene, sia come cristiani che umanamente. Per esempio, quante volte dico alle donne, “Ma perché invece di farlo solo per lo stipendio quello che fate per i bimbi, non ci mettete un po’ di cuore?”. Vorrei che ci fosse la speranza anche nella Chiesa di migliorare, di portare avanti un messaggio, non solo di dire “nostro Signore è buono”! Qualche volta anche i “nostri” dovrebbero interpellare di più, fare un’omelia più breve e porre qualche domanda, perché la gente possa durante la settimana riflettere, meditare. Alle donne dico: “Cercate di non mollare, di sperare che possiate cambiare la vostra vita”. Alcune ragazze che il papà voleva far sposare hanno avuto il coraggio di dire di no, portando obiezioni concrete. Le ragazze istruite hanno la forza e le capacità di contrastare il padre senza offenderlo e il papà le ascolta perché porta rispetto per chi è andato a scuola. Vedi la l’importanza della scuola? Bisogna puntare sulla scuola!

Che cosa speri, in particolare, per la Casa della gioia, per i bambini, le ragazze, le mamme?

Io spero che l’orfanotrofio un giorno sparisca, perché se sparisce lo vorrà dire che le mamme non muoiono più di parto, che la medicina avrà fatto dei progressi e che le donne andranno a farsi visitare al consultorio durante la gravidanza, mentre invece adesso la donna non vuole andare, perché non vuole essere vista e toccata da nessuno. Spero inoltre che gli operatori sanitari capiscano che prima di tutto la loro è una missione, non è un lavoro, è una missione! Quante volte io dico agli infermieri di Stato: “è una missione la vostra come lo è la mia. La prima cosa è curare bene! Con pochi mezzi si può curare”. Noi dobbiamo testimoniare che siamo contenti della nostra vocazione, del nostro essere là e del nostro volerli aiutare. E poi spero che il Signore faccia tutto lui il resto, perché anche se noi tanto diciamo, sappiamo che siamo nelle Sue mani e che è Lui il portatore di speranza.

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di redazione@notiziecarpi.it 
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