Una casetta nel bosco, tre bambini con i genitori e la magistratura che indaga
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Chissà se Catherine Birmingham e Nathan Trevallion sapevano di Heidi e della sua casetta in montagna, dove trascorreva una vita alternativa, capace di forgiare l’animo in profondità. Nathan dopo una vita passata in Inghilterra a fare lo chef e a vendere mobili preziosi, ha pensato di trasferirsi in Italia con Catherine, australiana, in una casetta persa nel bosco, nelle montagne d’Abruzzo, insieme ai loro tre bambini di 8 e 6 anni. Lo scopo era molto semplice: insegnare loro il ritorno alla natura, lontano dalle suggestioni di un mondo che tanto promette e troppo spesso ferisce. La scorsa primavera però, i bambini hanno avuto un’intossicazione da funghi, motivo per cui sono stati portati in ospedale per le cure del caso. Il mondo intorno solo allora si è accorto della loro esistenza, accendendo i fari della curiosità. Una casa spartana, il bagno all’esterno come si usava negli anni della mia infanzia, niente televisore, allevamento di animali di cui servirsi e nutrirsi e tanta serenità. E la scuola? Per quella ci pensavano papà e mamma. Quattro lingue parlate e tanta cultura alle spalle pensavano che potesse bastare. Poi, alla fine dell’anno scolastico una verifica ufficiale attestava l’avvenuto incremento dell’istruzione dei bambini. Che la cosa potesse andare era solo il sogno di due genitori originali. Di parere diverso era invece il tribunale dei Minori di Chieti il quale, come davanti a una pericolosa banda criminale, ha mandato in forze i carabinieri a prelevare le tre creature, privando i genitori della patria potestà.
Come possono crescere equilibrati si sono detti i magistrati, se questi bambini non coltivano le relazioni, se non guardano la televisione, se non hanno tutta quella strumentazione tecnologica e le comodità di cui godono oggi i loro coetanei? Domanda legittima, alla quale un preside illuminato mi ha obiettato: è vero che questi bambini non hanno relazioni, ma i nostri quali relazioni hanno quando passano giornate con il cellulare in mano o davanti a un computer? Ora i bambini d’Abruzzo sono in una comunità educativa. Alla madre hanno concesso di vederli a pranzo, solo perché non si sentano abbandonati. Per il resto, questa vicenda, che sembra uscire da una favola di altri tempi, ha aperto un contenzioso tra il governo e la magistratura.
Il ministro di Grazia e Giustizia manderà un’ispezione per vedere perché mai il tribunale si è permesso di fare una cosa del genere e, soprattutto, per verificare quali atteggiamenti erano così gravi da legittimare di togliere la patria potestà ai due genitori. Le prime testimonianze ci raccontano di una famiglia colta e attenta all’educazione dei figli, anche se le verifiche rimangono d’obbligo. A far la chiosa finale ci ha pensato il ministro Salvini, il quale ha posto una domanda provocatoria che comunque ci obbliga a riflettere: perché tanta attenzione per questi bambini, mentre per i figli dei Rom che vivono spesso in condizioni di igiene spaventose e di abbrutimento, senza alcuna scolarizzazione, non si fa altrettanto? La morale comparativa per cui se c’è un peccato più grosso bisogna far passare tutti i più piccoli non funziona. Ma credere che tutti i bambini meritino uguale rispetto e vadano tutelati è imperativo morale imprescindibile.




