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Pubblicato il Dicembre 3, 2025
Editoriale

Più comunità più salute. Quale sussidiarietà per il sistema sanitario

di Don Carlo Bellini, Direttore del Servizio di pastorale sociale, del lavoro, sport e tempo libero, della custodia del creato, della giustizia e della pace

Proseguendo le riflessioni sulle prospettive della sanità locale rilanciate dall’editoriale di Luigi Lamma sul n. 41, vorrei porre l’attenzione sulla dimensione della comunità come luogo dove si realizzano cura e salute. Riassumo in modo sintetico alcuni elementi maturati attraverso incontri e condivisioni recenti. La comunità rappresenta spesso l’anello mancante tra Stato e mercato, troppo spesso dimenticata e talvolta svilita dai processi economici degli ultimi decenni (R. Rajan, Il Terzo Pilastro. La comunità dimenticata da Stato e mercati). Essa è il cuore pulsante dell’economia civile, una visione che intreccia profondamente economia e società, mettendo al centro il bene comune, la reciprocità e il benessere delle persone. In quest’ottica, il fine ultimo dell’impresa non è soltanto il profitto, ma anche la crescita del contesto circostante, cioè della comunità stessa. In questo scenario, si parla ormai da tempo della nascita di una nuova generazione di servizi pubblici collaborativi che “combinano l’offerta di ben definite prestazioni (in genere erogate da operatori specialisti) con quella di piattaforme abilitanti grazie alle quali i cittadini stessi possono collaborare tra loro e con altri attori sociali” ( E. Manzini, M. D’Alena, Fare Assieme. Una nuova generazione di servizi pubblici collaborativi). Queste considerazioni ci invitano a ripensare anche la sanità e l’obiettivo salute mettendo al centro la persona e la dimensione comunitaria. Certo, ciò non risolve nell’immediato i problemi legati al finanziamento della spesa sanitaria, ma accresce l’efficacia e i risultati in termini di salute pubblica.

Come aumentare, dunque, il tasso di comunità nella sanità? In realtà, già lo facciamo attraverso associazioni come Croce Rossa, Croce Blu, AVO, AMO e le tante realtà del terzo settore impegnate nell’affrontare patologie e fragilità. Il nostro territorio sta già seguendo questa direzione con dedizione e intelligenza. Ma proviamo a immaginare quanto potrebbe significare una maggiore consapevolezza della salute come bene comune estesa ai centri sociali, alle parrocchie (con le visite agli anziani e alle famiglie), ai centri di ascolto Caritas, al consultorio diocesano. Si potrebbe fare molto di più in termini di prevenzione, corretta fruizione dei servizi e monitoraggio della salute. Gli strumenti giuridici per realizzare questi obiettivi esistono già: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (Art. 118, comma 4, della Costituzione – legge costituzionale n. 3/2001). Una sentenza della Corte Costituzionale ha poi precisato che “nella suddetta disposizione costituzionale (art. 118 comma 4), valorizzando l’originaria socialità dell’uomo (sentenza n. 75 del 1992), si è quindi voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una ‘autonoma iniziativa dei cittadini’ che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese” (n.131/2020). L’azione dei cittadini organizzati, quindi, non avviene per mera delega dell’ente pubblico, ma nasce in autonomia e si concretizza in ciò che l’articolo 55 del Codice del Terzo Settore definisce “forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento”.

Questi strumenti danno corpo alla cosiddetta sussidiarietà orizzontale. In diversi comuni sono stati adottati Regolamenti per la gestione condivisa dei beni comuni (parchi, biblioteche, salute, welfare), che consentono la stipula di Patti di collaborazione tra cittadini e Amministrazione. Il Comune di Bologna, antesignano in questo percorso, ha adottato il proprio regolamento nel 2014 e oggi sono più di 300 i comuni che ne seguono l’esempio. Bene comune, solidarietà e sussidiarietà sono pilastri della Dottrina Sociale della Chiesa, e questi strumenti ci offrono la possibilità di concretizzare valori in cui storicamente crediamo. Dobbiamo, inoltre, superare un individualismo spesso fonte di solitudine e ritrovare una speranza che nasca dal “noi”. Il terzo settore, in questo quadro, assume un valore inestimabile. Perché, dunque, non rimboccarci le maniche e accogliere con più convinzione questa prospettiva culturale, nuova ma al tempo stesso profondamente radicata nella nostra tradizione?

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